Caccia Sadica, di Joseph Losey

Caccia Sadica è un film oscuro, indecifrabile e indefinito. Inizialmente aperto e intrecciato dai caratteri tipici del cinema di Losey, ossia un ragionamento sui conflitti di classe (o di nazioni?) tra due uomini che formano due personaggi distinti e separati, per poi compiere un balzo in avanti inquietante, horrorifico e disumano.

Ci viene mostrata la lunga e (infinita?) fuga di due, prendendoci il beneficio del dubbio, prigionieri di guerra. Dopo una fase conflittuale, il film con il passare dei minuti prende le sembianze di un rito identico a se stesso.

I suggestivi paesaggi desolati e le imponenti catene montuose sono l’unica profondità di campo che è possibile intravedere. Il lavoro estetico sui campi lunghi/lunghissimi e su alcuni sporadici campi medi non forzano il senso dell’immagine, al contrario la rendono interattiva agli occhi dello spettatore verso questi territori dimenticati da Dio.

Le rare presenze umane non hanno una forma definita, sono piuttosto ombre senza una volto che vagano prive di meta, forse agiscono con ordini prestabiliti e quindi in preda ad un’alienazione, o semplicemente non sono altro che l’involuzione finale dell’essere umano impotente di fronte alla macchina.

I due protagonisti/antagonisti appaiono come le uniche forme umane ancora unite da un vitale e tangibile scopo, fuggire da un elicottero militare che, per essere probabilmente fuggiti da una qualche guerra fantapolitica o reale, li vuole riprendere o addirittura uccidere.

Laddove Robert Shaw e Malcolm Mcdowell sono dei fantasmatici personaggi ancora invasi da un background narrativo che li rende in larga parte reali, ciò non si può dire per l’elicottero di guerra.

È la regia stessa a suggerire, con un potente fuori campo, la natura ideologica e illusionistica dell’elicottero manipolato a posteriori da altre entità. L’oggetto volante è una falce della morte sia figurativa che letterale (in una sequenza tenta di decapitare Robert Shaw). Ma il film, se togliamo movimenti di camera atti a mostrare gli attacchi e i corrispettivi inseguimenti dell’elicottero verso i malcapitati, non è mai intenzionato a evidenziare i piloti (sempre se esistano fisicamente).

L’elicottero è realmente progettato per recuperare questi ipotetici prigionieri, o forse funge come strumento per un pericoloso gioco basato sul sadismo? Approcciandosi con attenzione al film, si tende a concordare più con la seconda opzione. Una scelta narrativa che si rivela essere discontinua a causa dei nascosti riferimenti socio-politici, ma costruita da una sapiente drammaturgia di spessore ansiogeno sempre più in forte ascesa con il passare dei minuti.

Losey lavora sulle psicologie “primitive” dei due personaggi, discutendo le loro identità per farle interagire in un perverso scambio di ruoli.

Robert Shaw è un uomo vissuto, duro nei comportamenti e sincero nei pensieri. Malcolm Mcdowell un personaggio enigmatico, un ago della bilancia che si sposta in base alle situazioni più convenevoli a lui, incredibilmente vago e forse addirittura cosciente del drammatico sopraggiungere degli eventi a sua volta prosciugati dall’efficace plot twist finale. Uno scontro tra due generazioni opposte e inavvicinabili, dove il campo di battaglia è fisico e psichico.

Un’opera encomiabile nella sua relativa semplicità, incomprensibile nel trattare due costituenti base della mente umana e altrettanto suggestiva nella sua misteriosa narrazione. L’ambiguità del bene e del male.

(Paolo Birreci)