Cinema come rifugio o evasione: When the wind blows

In una situazione delicata, inaspettata, inedita per le nostre più consuete abitudini, una passione come quella verso il cinema assume il valore di un rifugio, un mondo parallelo in cui riversare le nostre attenzioni, senza il timore di essere giudicati. Vale per tanti altri periodi che segnano il nostro percorso di crescita, come spettatori e fruitori, che focalizzano la propria visione della vita e cominciano a ricercarla in quella di altri autori di spettacolo. Vale per questa forma d’arte, come per altre passioni che nel corso degli anni plasmano ciò che diventiamo. Ci appartengono, definiscono ciò che siamo. Nutriamo quella esigenza innata di volercisi rifugiare in esse, per sentirci a nostro agio. Che sia la visione di un film, la lettura di un romanzo o l’ascolto di un disco al quale ci sentiamo profondamente legati, e che ha segnato un momento fondamentale della nostra vita. Rifugi emotivi, ognuno di essi ha uno scopo ben preciso: il viaggio, l’evasione. Non più fisica, ma contemplativa, quasi trascendentale. Un’immersione all’interno di altri mondi, che rispecchino il più possibile il nostro, quello interiore. Quello a noi più sconosciuto, oscuro e rischioso, che la maggior parte delle volte temiamo di esplorare.

In una condizione dove ci troviamo confinati all’interno di “quattro mura”, e il tempo ci appare sempre più dilatato rispetto a come lo potevamo percepire fino a poco tempo fa, questo nostro mondo interiore ha la possibilità di essere riesplorato più a fondo. E’ un’abitudine già presente nella nostra quotidianità, ma che in una situazione di emergenza assume la valenza di una valvola di sfogo. Apre diverse vie. A volte è un modo per respingere la realtà che ci circonda, e che nelle ultime settimane ci divora. Altre volte tendiamo ad assecondarla, attraverso la visione o l’ascolto di opere specifiche, per alimentare il nostro malessere, intensificandolo, ritrovando un punto di appartenenza. Una forma di compagnia per il nostro stato d’animo. Arriviamo a sentirci spronati verso una tipologia di cinema molto più incline alla realtà che ci troviamo a vivere, soprattutto quando dobbiamo affrontarla dall’interno delle nostre case. E’ un modo per sentirci partecipi e protagonisti attivi, ma anche una forma di riparo. Ecco perché ci sembra incredibile come certi film risultino perfettamente adatti ad alleggerire quelle ansie e angosce che attraversano le nostre giornate, al punto da riconoscerci non tanto nelle vicende, quanto nei contesti che ci vengono narrati.

E quale forma di evasione più ampia e pura ha la capacità di farci estraniare totalmente, se non l’animazione? In assenza di prospettive future, dove il domani ci appare sempre più minaccioso, riesce più naturale adagiarsi nel rifugio della nostalgia. E in un periodo tormentato da così tante domande e incertezze sul nostro avvenire, è un caso che una multinazionale come la Disney continui a risultare vincente ancora una volta, tanto da riscuotere un rinnovato successo attraverso il lancio della sua nuova piattaforma di streaming? Di certo no, e la ragione è molto semplice: perché sin dai suoi esordi ha saputo vantare quella rara, rarissima capacità di saper rispondere alle attese e alla esigenze del pubblico. Senza limitare i propri confini, ma riuscendo ad abbracciare ogni tipologia di spettatore. Non sono in molti ad aver trovato quella formula capace di portare l’esperienza cinematografica alla sua forma più alta, nel suo essere sogno. Una formula appunto che, stando ai dati, può dirsi ancora vincente fra le nuove generazioni, e che al tempo stesso ritrova un fresco riscontro anche verso i suoi spettatori più adulti e disillusi. Questo perché tutt’oggi riesce ancora a coinvolgerli, seppur in una forma assai più filtrata rispetto al trasporto che un tempo poteva suscitare. E oggi, in una situazione di isolamento, dove ci si ritrova a vivere in casa il più a lungo possibile, ritorna quell’abitudine persa e superata di saper rimanere soli con se stessi. Una forma di noia, che in altre circostanze spaventa tutti, proprio perché ci pone faccia a faccia con le nostre mancanze, i nostri “demoni” interiori, ma che in queste ore riesce a ritrovare una rinnovata forza, al punto da rivivere questa forma di cinema con occhi infantili, meno esigenti e nuovamente più sensibilizzati. E’ un possibile spone, come possono essercene altri. Un esempio analogo è la Pixar che nel corso degli anni, rispetto alla casa di Topolino, ha indirizzato le proprie tematiche verso uno sviluppo più adulto ed elaborato. Discorso che rientra anche per altri studi d’animazione, come un Ghibli, una Gainax e via discorrendo. La ricerca è già più selettiva, le doti del racconto prendono un andamento più peculiare, allontanandosi da un nucleo mainstream. Lo spettatore di riferimento è già molto più esigente rispetto a quello più occasionale, perché stavolta nutre l’esigenza di volersi rispecchiare all’interno di contesti e dinamiche già molto più realistiche, capaci di toccare quelle corde interiori, che spesso solo alla tecnica dell’animazione è dato conoscereL’animazione qui è più avulsa dalla dimensione del sogno, ma può rivelarsi trionfante quando riesce a far convivere queste peculiarità con un pubblico meno navigato. “When the wind blows” di Jimmy T. Murakami può essere considerato come il risultato di questo trionfo.

A vederla oggi non solo risulta un’opera che meriterebbe una fresca riscoperta, ma anche una storia dove saltano in evidenza una serie di paralleli con quello che è diventato il nostro vivere quotidiano, nelle dovute proporzioni. Veniamo da subito inseriti all’interno del suo contesto storico, con immagini di repertorio risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, mentre David Bowie intona questi versi:

So long child, it’s awful dark

And I’ve never felt the sun

I dread to think of when

When the wind blows

Una storia che vede come ambientazione le desolate campagne inglesi. Veniamo subito introdotti nella casa di un’anziana coppia di coniugi, Jim e Hilda Bloogs. Entrambi dediti alle mansioni più comuni. Lui un po’ meno del solito, dal momento che viene a conoscenza di un’imminente attacco militare da parte dell’Unione Sovietica alla Gran Bretagna.

Perché vien naturale sin subito rivedersi in questa coppia? Intanto perché abbiamo due reazioni opposte a una situazione di pericolo. Jim si documenta scrupolosamente su ogni forma di prevenzione, leggendo una serie di opuscoli governativi, mentre Hilda minimizza sin da subito un possibile pericolo, senza rinunciare alle sue mansioni. Due reazioni, ma anche due facce della stessa medaglia.

La portata di un pericolo è quasi sempre imprevedibile, sia negli effetti che nelle conseguenze. Entrambi non vogliono accettarlo, ma mentre uno sceglie la prevenzione, l’altra preferisce l’indifferenza. Hilda prosegue le sue abitudini casalinghe, mentre Jim costruisce un personale rifugio antiatomico mettendo insieme una serie di porte l’una accanto all’altra. L’attacco sopraggiunge colpendo e devastando gran parte della loro abitazione. Murakami da qui ci introduce a quelli che saranno 14 giorni di emergenza nazionale, dove il panico rimarrà sempre soppesato dalla forza della leggerezza con cui la vicenda continuerà ad essere narrata. Ora che la realtà degli eventi non può più passare in secondo piano, non resta che accettarla così com’è arrivata. Scopriamo un passato giovanile che ha visto i due coniugi già partecipi di un’altra guerra, una guerra che ricordano con ingenua nostalgia. Diviene questo, quindi, il loro rifugio. La forza del ricordo. Quel ricordo a cui ognuno di noi arriva ad aggrapparsi quando non riesce più a focalizzare una propria e personale identità in un contesto contemporaneo. Pertanto, l’isolamento riesce persino a cacciar fuori quelli che sono i vantaggi della solitudine. Ognuno reagisce come può e in maniera differente, a seconda della propria indole e delle proprie esperienze personali. Jim e Hilda arrivano a provare nostalgia nei confronti di una pagina dolorosa della loro vita. Ma in realtà è in questo che risiede il potere della nostalgia: idealizzare anche i momenti più difficili di un passato che ci sembra sempre più lontano e sempre più sereno rispetto al presente che viviamo ogni giorno.

Nel film le condizioni dell’anziana coppia si fanno lentamente sempre più precarie, e arrivano a risentirne anche le loro condizioni psicofisiche.

Non spaventa tanto l’oggi, quanto il domani. Il passato, anche quello di pochi mesi prima, appare sempre più lontano. Veniamo scossi dalla routine che definiva le nostre giornate. Questo ci frustra, ma ci spinge anche alla riscoperta del valore del tempo. Non solo di quello che sentiamo scorrere, ma anche di quello che ritroviamo a disposizione per poterci dedicare ad aspetti della nostra vita che tendavamo a dare per scontati. Come per Jim e Hilda, ci stupiamo soprattutto del silenzio, di questo assordante in un mondo che ha interrotto la sua frenesia.

“Uno strano silenzio, non passa nemmeno un treno, non c’è traffico”

Quel silenzio che Jim e Hilda si sentono liberi di assaporare nel momento in cui varcano la soglia della loro casa. Una breve passeggiata nei paraggi della propria recinzione dona un senso di libertà mai provato prima. Contemplare i propri spazi per accogliere la propria solitudine, fino a saperci convivere. Noi, come loro, iniziamo solo così a sentirci partecipi di un momento storico che inizia ad assumere una propria identità, e che un giorno potremmo ricordare proprio per queste caratteristiche.

E’ difficile riconoscersi addosso un ruolo determinante, potendo agire solo dall’esterno (che è poi l’interno delle nostre case) in nessun’altra maniera, se non in quella di evitare i contatti con altra gente. Ma è da questo che si arriva a valorizzare quello che si ha accanto. Perché, inconsciamente, assume la medesima importanza di quei ricordi a noi più cari. Il presente acquisisce spessore, il tutto è determinato dall’atteggiamento. Murakami ricalca molto su questo concetto. Jim e Hilda accolgono quasi inconsapevolmente la propria agonia, che lentamente li vede vittime del freddo e della fame. Ma riescono a reagire con determinazione attraverso quella leggerezza mite e infantile che li contraddistinguerà.
Se per i due anziani coniugi quelle porte assemblate sono diventate il loro personale rifugio, per noi spettatori è la loro vicenda ad essere diventata il nostro, di rifugio. Questo perché il cinema ha il dono di farci rispecchiare nelle dinamiche che vediamo scorrere sullo schermo, ma col privilegio di poter vedere gli altri compiere decisioni al posto nostro. Soprattutto quasi ci ritroviamo in una situazione più grande di noi, dove il nostro compito più grande è quello di saper aspettare. Da qui, l’umore dei personaggi diventa quello che precedentemente non riuscivamo ad esternare. Assume alti e bassi, dove si passa da momenti di ritrovata speranza a successivi crolli emotivi. Ognuno segue un proprio ideale, che sia un concetto, una fede, di carattere religioso, filosofico o spirituale. Una passione come il cinema assume la stessa valenza. Una passione che ci stimola al punto da permetterci di estraniarci dalla realtà, in una frazione di tempo breve o lunga che sia. Ci permette di scoprire un punto preciso di una storia che ci appassiona, e di poterci tornare tutte le volte che ne sentiamo il bisogno. Ci accompagna nelle situazioni più difficili e spesso spezza le distanze e unisce anche un’intera nazione (lo vediamo soprattutto quando in televisione vengono ritrasmesse saghe storiche, spesso richieste dagli stessi appassionati, che continuano a riscuotere lo stesso successo di ascolti come i vecchi tempi.)

Questo è il cinema, un punto di contatto con un mondo in grado di farci sentire ancora vivi. Quel sogno che riesce a farci uscire di casa, pur rimanendo seduti sul nostro divano, riguardando per l’ennesima volta il nostro film preferito.

(Ricki Loglisci)