Da 5 Bloods – il Black Vietnam Movie di Spike Lee

Il 12 giugno, è approdato su Netflix il nuovissimo film di Spike Lee.
Tra i film più costosi fatti in carriera, avrebbe dovuto partecipare al festival di Cannes, ma causa Covid si è dovuto spostare sulle piattaforme streaming tanto utilizzate dal regista negli ultimi anni.
Ed è proprio tramite la velocità dello streaming e quel pubblico giovanile che Lee può rinnovare il suo lavoro storiografico.

Da 5 Bloods parla di un gruppo di quattro veterani del Vietnam riunitisi in quel di Saigon per recuperare un’ingente somma di lingotti d’oro e cercare il cadavere di un commilitone caduto in battaglia.

Tra le immagini d’archivio, con cui già si chiariscono gli intenti politici e le indagini sociali che vuole portare avanti il regista afroamericano, in una discoteca, tra le note di Marvin Gaye e il logo di Apocalypse Now, parte il viaggio nel cuor di tenebra della foresta vietnamita.

Un viaggio che torna alla mitologia e alle radici più antiche della cultura afroamericana, dove Spike Lee e soci diventano cantastorie raccontando e mettendo a disposizione della comunità, un nuovissimo patrimonio di storie.


Tutta la filmografia di Lee sembra ritornare sul mito per riscriverlo.
Fin dagli esordi con Lola Darling e Aule Turbolente, primo musical afroamericano della storia del cinema, la volontà del regista è stata sempre quella di raccontare tramite il cinema la cultura black.
Dopo aver però quasi esaurito e messo in scena con violenza e forza le rivolte, le uccisioni e i soprusi, dopo l’11 settembre, dopo Ground Zero, il cinema di Spike Lee è inevitabilmente crollato in un ultimo lungo viaggio lontano dal tempo.
In una 25a ora dove ci si autoanalizza e pezzo dopo pezzo si cerca di ricomporre il cinema stesso.
Dove si ricostruisce la storia partendo dalle fondamenta.

Revisionismo è la parola che è stata utilizzata per parlare più spesso del flop Miracolo a Sant’Anna.
Ed è proprio questo il senso di tutta la seconda parte del cinema di Spike Lee.
Un cinema che guarda più al genere, che guarda più allo streaming, per appropriarsi, anche a costo di utilizzare la forza, della storia americana e crearne una nuova versione.

Si snoda così la seconda parte della sua filmografia tra classici modernizzati e moderni fatti diventare classici.
Dove Spike come Josh Brolin si divincola nella gabbia in cui è stato rinchiuso per colpe sconosciute, e liberatosi fugge lungo l’infinita strada della 25a ora.
Si parte da lontano, dalla cultura Ashanti di Da Sweet Blood of Jesus o dalla Lisistrata di Aristofane che combatte la mancanza d’amore verso il prossimo con l’assenza stessa dell’amore e di qualsiasi tipo di rapporto con ogni uomo di Chicago pronto ad imbracciare il fucile.


Da 5 Bloods, allo stesso modo, è un film sul ritorno, sulla ricostruzione e sul ricordo che annulla il passato.
Il ricordo che svela la sua falsità fin dall’inizio come a far presagire una presa di coscienza finale tramite cambi di formato e mancato utilizzo della CGI sui volti dei personaggi, quasi a fare un lavoro totalmente contrario a quello fatto sui volti ringiovaniti dei gangster di Scorsese che fino alla fine dei loro giorni preferiscono vivere nella menzogna.


Quella che compie Lee è l’ennesima interessante riscrittura storica del popolo americano, rimettendo in scena alcuni tra i fenomeni più interessanti e caratterizzanti della cultura statunitense, come la “caccia all’oro”, il Vietnam e le lotte contro il razzismo.

La conquista della frontiera e la volontà d’arricchirsi tramite la ricerca dell’oro sono due passaggi fondamentali che si sono sempre trovati nelle grandi narrazioni statunitensi, basti pensare al genere americano per eccellenza, il western, per avere subito in testa vecchi cercatori d’oro impolverati, cavalli e carovane alla conquista delle terre selvagge.

Ed è qui che si può dire che Spike è riuscito a fare il suo classico “black” western crepuscolare con una narrazione che affonda nei ricordi e nei passaggi più importanti di quella cultura fatta di conquiste e ricerca dell’oro, con questa volta il Vietnam (tra i più grossi incubi selvaggi della storia americana) e gli occhi di quattro veterani di colore pronti a tornare, come dei colonialisti, a riprendersi ciò che gli appartiene: memoria, oro e cadavere di Norman.


Il Vietnam ha segnato profondamente la società americana, caratterizzandone anche e soprattutto l’arte cinematografica.
Gran parte delle narrazioni della New Hollywood non fanno altro che parlare di ragazzi innocenti mandati tra le foreste come carne da macello, disturbi post traumatici e ricerca disperata dei dispersi.


È come se l’America stessa e i protagonisti del film di Spike Lee tramite il ritrovamento di Norman riuscissero a trovare la propria redenzione da un inferno che non li ha mai abbandonati e che forse mai abbandonerà tutti gli americani.
Un’America che ormai vive nella menzogna.
Un’America che vive delle stesse contraddizioni di cui vive il Delroy Lindo, fervido sostenitore di Trump, accecato dalla rabbia e pronto ad abbandonare i propri figli sul campo di battaglia per poi perdersi nella foresta tra mille deliri, alla ricerca del perdono e della liberazione finale.


I vecchi americani di Lee escono fuori dal territorio ancora con il cappellino “Make America Great Again” per finalmente ritrovare se stessi e svegliarsi.
Imbracciare il fucile e resistere nella foresta selvaggia piena di mine e vietnamiti ancora in guerra.
La guerra non è mai finita, sembra dirci questo il regista afroamericano che alza il pugno chiuso e con il vietnam movie della cultura black stringe l’occhio all’attualità e alle proteste americane del movimento Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd.

Da 5 Bloods segna il grande ritorno del regista di Fa la cosa giusta, forse con una durata eccessiva e qualche imperfezione nel far incontrare tra di loro immagini d’archivio, il 4:3 dei flashback e il 16:9.
Anche se forse è proprio in quella imperfezione del 4:3 che si svela la falsità del ricordo dei protagonisti.

Qualche didascalismo di troppo, comunque più giustificato in questo zibaldone di ricordi, in questo archivio storico delle comunità nera, rispetto agli ultimi film usciti su Prime dello stesso regista.
Dove i discorsi politici resi esplicitamente nei dialoghi verbosi dei suoi personaggi, cozzavano e creavano ulteriori inutili sottolineature a delle narrazioni già di per se molto politiche.

In conclusione, al di là della durata e di qualche forzatura, Da 5 Bloods rimane uno dei lavori in assoluto più interessanti di Spike Lee.

(Carmelo Leonardi)