FEFF22 – Impetigore – Joko Anwar (2019)

Joko Anwar è tra i più apprezzati autori di cinema horror orientale, regista indonesiano che con quest’ultimo film sembra ricontestualizzare i principali topos dell’horror riattraversando la loro storia.

Strutturalmente il film è un parente stretto di Gokseong, il thriller sudcoreano uscito un paio di anni fa che concepisce la sua narrazione partendo da un misterioso villaggio, oscuro e pieno di segreti inviolabili.

Impetigore va avanti allo stesso modo, è un horror più classico che si muove su spazi legati al male atavico, un malessere puro, visibile, esente da compromessi. Non possiede l’ambiguità, anche estetica, di un certo horror odierno che gioca con i generi fondendoli tra essi, e alle volte anticipando il palesamento del mistero.

Nel film del regista del precedente Satan’s Slaves, l’ambientazione è un tipico villaggio sperduto nella giungla indonesiana che si scoprirà avere un inquieto passato eretto da magie voodoo e bambini scorticati. Se ciò non dovesse bastare a smascherarlo da quella fetta di horror con pretese di realismo, l’interesse maggiore è rilevato da una tradizione di cinema della paura che poggia le sue fondamenta sul concetto di piacere della “scoperta”.

È a tutti gli effetti un film che si spoglia con il passare dei minuti, si prende i suoi tempi. Inizia constatando che qualcosa non funziona, con un uomo che stalkera una delle due ragazze e sinistre visioni di burattini con piccoli, ma ben bilanciati Jump Scare. E, come i capisaldi del genere insegnano, la rivelazione decisiva verrà svelata solo dal finale.

La forma di mestiere si rivela un alleato fedele. Il viaggio in bus nella fitta foresta che porterà le due ragazze al terribile villaggio è caratterizzato da suggestivi colori rosso sangue che, accompagnati da una regia che incute timore alternando giochi di fuoco/fuori fuoco, garantisce un’estetica di sicuro impatto. 

Anche qui, l’inquietudine di un mondo misterioso da aprire come un antico vaso di pandora, non poteva non tralasciare un altro aspetto comune di questi horror. Stiamo parlando della riscoperta della famiglia, la missione di una delle due ragazze è proprio conoscere il suo passato e per questo intraprende questa missione. Un topos che furbescamente funziona bene ed è sempre attuale. Una famiglia che, per un motivo o per un altro, trasforma una società che può essere un piccolo villaggio, una città, o anche solo una casa (Non aprite quella porta) o comunque un territorio circoscritto (The Farm) in violenta anarchia e che non non accetta ospiti indesiderati, pena la morte. E infine bambini mai nati, bambole e marionette cucite con pelle umana. Come si può facilmente intuire, Joko Anwar opera su un territorio abbondantemente abusato.

(Paolo Birreci)