FEFF22 – Kim Ji-young, Born 1982 – Kim Do-young (2019)

Il libro di Cho Nam-jo è stato uno dei più venduti in Corea del sud.
Vero caso nazionale per le tematiche affrontate, scatena dal 2016 (data della sua uscita) dibattiti su dibattiti, attirandosi contro l’odio degli antifemministi.

L’autrice ha scelto un nome molto comune in Corea come Kim Ji-young per far sì che la storia della sua protagonista diventasse rappresentativa di tutto un mondo femminile che soffre alla stessa maniera in una nazione economicamente e tecnologicamente avanzata, che artisticamente (soprattutto nel cinema) imita l’occidente, ma che a livello sociale rimane molto conservatrice.

L’uscita del film, non ha fatto altro che riaccendere per l’ennesima volta il dibattito, con gli antifemministi pronti invadere nuovamente i social.
Questa volta però a favore e per creare ancor più attese sono state assegnate le parti dei protagonisti a due attori come Gong Yoo e Jung Yoo-mi (Train to Busan e Silenced), tra i più talentuosi volti del cinema coreano che hanno aumentato ancor di più le attenzioni verso il film.

La storia parla di Ji-young, una donna poco più che trentenne che ha dovuto abbandonare il lavoro per occuparsi della crescita della figlia appena nata.
La donna si sente intrappolata, le da fastidio stare a casa a fare la vita da casalinga e non poter far carriera al pari del marito.
È una società dove avere un figlio sembra una condanna e dove le donne sono abbandonate a se stesse in preda a possibili traumi e depressioni post parto.
La protagonista, mai ben delineata, sfuggente, impercettibile, persa tra pensieri e silenzi, inizia ad avere dei disturbi e a parlare come se fosse l’anziana nonna o la madre.

La figura di Ji-young Kim si scolpisce solo tramite i ricordi, solo tramite i flashback e le voci degli altri personaggi, che mostrano come durante tutta la sua vita abbia dovuto resistere e assistere a discriminazione di genere.

Il film dell’attrice Kim Do-young, qui al suo primo lungometraggio, come il libro di Cho ha avuto un grandissimo impatto in Oriente, facendolo diventare uno dei maggiori incassi dello scorso anno.
Ma tutta la forza dell’opera deriva unicamente dal tema scelto e dal libro di provenienza, di cui il film di Kim diventa piccola costola.

Ad una spiccata totale mancanza di regia si aggiungono dei passaggi narrativi che in una narrazione cinematografica (al contrario di quella letteraria) si caricano di un peso forse fin troppo eccessivo e che pertanto risultano un tantino più forzati del solito.
I flashback sono coerenti con il personaggio assente di Ji-young, ma risultano anche la soluzione più semplice per volutamente non rispondere ad una caratterizzazione praticamente assente.

Il film rimane comunque una visione semplice e piacevole, arricchita dalle grandi interpretazioni dei suoi protagonisti e dalla tematica affascinante che indubbiamente continuerà a far parlare di se, ma che cinematograficamente non si riesce ad innalzare.

(Carmelo Leonardi)