FEFF22 – Lucky Chan Sil – Cho Hee Kim (2020)

L’atto creativo del cinema è alimentato dalla voglia di un autore di spogliarsi, di mostrarsi nella sua forma più autentica. Quando manca un obiettivo, qualcosa da dire, la necessità di auto raccontarsi esprimendosi con le immagini diventa impossibile. Il sudcoreano Cho Hee Kim sceglie di esaminare il dopo di questo atto creativo, le conseguenze, le tracce, i fantasmi di una vita dedicata al processo artistico, cinematografico in questo caso.

È quello che accade alla produttrice Chan Sil, ritrovatasi senza il giusto stimolo dopo l’improvvisa morte del regista con cui lavorava da tempo. È particolarmente significativo soffermarsi sulla sequenza iniziale, la morte del regista avviene durante i titoli di testa del film mentre Chan Sil ride ancora incosciente del tragico avvenimento, come a volerci dire che l’atto creativo è ancora in corso benché ansimante, e il “post trauma” avverrà in seguito con il vero inizio della parabola. Questo film segue il tragitto della donna, la sua personale rielaborazione del lutto. Un tragitto di difficile ricostruzione umana prima ancora che professionale.

Un incontro con un regista di cortometraggi riesumerà la sua acuta cinefilia, in uno scontro tra ideologie opposte. Da una parte l’uomo trova noioso il cinema di Ozu ma affascinanti i film di Nolan, la donna le spiegherà che la semplicità di Ozu è la sua forza perché riesce a filmare i piccoli attimi della vita di ogni individuo, che è per la maggior parte del tempo statica. Il confronto si dimostra la sintesi di questo film, i circa 90 minuti collezionano piccoli momenti attenti a riflettere una condizione (quella della donna) immobilizzata in una bolla più che a compiere azioni rivoluzionarie. È un film sul passato, la donna ripesca con l’aiuto del regista i suoi ricordi e, raggiunta un’età matura, li comprende nel miglior modo. L’età dei balocchi in cui produceva film indipendenti è terminata, ora è arrivata la disillusione.

Ma il ricordo rimane, lei è sempre la produttrice e i fantasmi del cinema tornano a perseguitarla. La valenza però non è negativa, quando la donna vedrà apparire, a dirla tutta più volte nel film, l’iconico Leslie Cheung, attore/cantante leggendario del cinema di John Woo morto suicida nel 2003, che prende il ruolo di angelo custode e psicologo di vita, capirà di essere impossibilitata a distaccarsi dal passato. Visioni che sono il frammento di un’anima cinematografica lacerata, scalfita ma ancora esistente. Malgrado una plausibile decadenza e drammaticità velata, il film sobbalza con un finale carico di speranza. Ancora una volta grazie alla funzione salvifica del cinema.  

Un ritratto femminile intenso, uno dei migliori lavori di questo Far East.

(Paolo Birreci)