FEFF22 – My prince Edward – Norris Wong (2019)

My prince Edward, uno dei titoli più attesi di questo atipico FEFF, è il battesimo di fuoco della regista Norris Wong dietro la macchina da presa in un lungometraggio. La sensibilità femminile di chi ha ideato la pellicola, mette al centro della vicenda le problematiche dinamiche di una futura coppia di Hong Kong. Una città che vive di vertigini quotidiane, tecnologicamente proiettata verso un futuro utopico e punto d’incontro di mescolanze culturali, occidentali e orientali. L’assoluto quartier generale che fa partire il plot narrativo del film, strettamente connesso a questa città multiforme, è il grande centro commerciale del Golden Plaza dove convergono le attività lavorative dei futuri sposi. Fong è una ragazza assorbita da una vita intrisa di caos e confusione a cui prova a dare ordine. Edward, il fidanzato, è l’opposto di lei, un uomo che passa il tempo videogiocando, paranoico e borioso. La linearità viene sconvolta dall’incontro con Yan Shuwei, l’attuale marito nascosto di Fong.

Wong sceglie uno sguardo leggero per mettere in scena un dramma che seppur potrebbe esplodere con violenza da un momento all’altro (soprattutto dopo che Edward scopre il marito di Fong) mantiene una linea ben equilibrata, senza scontare facilonerie sopra le righe. Errore che evitano anche i personaggi di contorno che aiutano il film a seguire un’ironia che abbassa le tensioni. La regia è educata, addirittura riflessiva nei momenti in cui Fong inizia a interrogarsi, attraverso degli esami di coscienza, sul significato del matrimonio inteso come atto contrattuale tra due persone, e più movimentata quando la situazione si agita. La scrittura tutta al femminile consente un approccio nuovo alla semplice crisi di coppia. È più un problema esistenziale, profondo e complesso, quello delle ferree regole matrimoniali che nel 2020 in cui tutto viaggia alla velocità della luce perdono significato e importanza.

L’indipendenza della figura della donna, non più privata dei cuscinetti sociali, snaturano l’idea bigotta dell’atto matrimoniale che dovrebbe rimanere intatto, in teoria, per tutta la vita. Ambientare tutto ciò a Hong Kong è infatti una scelta azzeccatissima e lo è ancor di più la definizione dei caratteri dei personaggi. Edward si aggrappa alla sua donna che non vuole lasciarsi scappare perché probabilmente non riesce a vivere bene con se stesso, “obbligandola” a un matrimonio forse forzato e che il film non mostra realmente. Un notevole simbolismo politico con la vera Hong Kong “reale” e costretta a rimanere dipendente dalla sovranità cinese.

Un esordio elegante e sofisticato, maturo e con una certa malinconia di fondo.

(Paolo Birreci)