Quella casa nel bosco, di Drew Goddard (2011)

La recensione potrebbe contenere degli spoiler.

Nel 2012, Drew Goddard e Joss Whedon unirono le forze per la realizzazione di “Quella casa nel bosco”, un horror dalla trama di base estremamente banale – ovvero un gruppo di giovani che si isolano in una baracca nel bosco per trascorrere un weekend di divertimento e svago – ma che nasconde in esso molto più di quanto sembri ad una prima, superficiale analisi.

Uno dei maggiori pregi è proprio il sovvertire la classica trama da horror low-budget anni’70 e ’80 per regalare qualcosa di originale allo spettatore: fin dalla prima sequenza si avverte un’atmosfera che non ci fa sentire a nostro agio e i dubbi sorgono dall’inizio. Man mano che il film procede i colpi di scena non si fanno meno frequenti e le trovate sorprendenti sono ben inserite nello sviluppo narrativo.

I protagonisti in una scena del film.

Ma la vera genialità dell’opera, che si eleva a stato di vera gemma, è il discorso meta-cinematografico che viene messo in campo dalla brillante sceneggiatura di Goddard e Whedon: il film riflette sul concetto del rapporto tra spettatore, regista e personaggi. Goddard è abile a farci prendere fin da subito il punto di vista (pur non facendolo immediatamente capire) dei due aguzzini, le due menti malate dietro l’esperimento che stiamo vedendo, che ha per vittime i malcapitati giovani. E’ quindi come se lo spettatore si identificasse nei due antagonisti (Jenkins e Whitford) e avesse il potere di decidere le sorti dei protagonisti. Chi guarda diventa quindi il regista della storia, colui che dirige appunto, e quindi decide come far procedere lo sviluppo della trama, capovolgendo la concezione che tutti noi abbiamo di Cinema.

Altro aspetto molto interessante e riuscito è quello parodico: “Quella casa nel bosco” può essere visto come una sorta di parodia del genere horror stesso (come fu “Scream” di Craven negli anni ‘90), in quanto ne analizza stilemi e clichè. Sono individuabili immediatamente i ruoli dei protagonisti, dalla bella al macho di turno, fino alla vergine e all’intellettuale passando per l’emarginato, il quale è l’unico che, distinguendosi caratterialmente dagli altri, è in grado di comprendere il macabro gioco messo in scena dai due burattinai (Jenkins e Whitford), che rappresentano Goddard e Whedon, ovvero i creatori del trama e del massacro stesso.

“Quella casa nel bosco” si rifà quindi ad una critica Carpenteriana (un titolo su tutti è il capolavoro dell’88, “Essi vivono”, che fungeva da critica al capitalismo e al consumismo sfrenato) sulla società del grande fratello e ad una visione del genere stesso che richiama Raimi e Craven. I clichè del genere sono analizzati e ribaltati, per poi essere distrutti, fino ad arrivare al terzo atto nel quale l’amante del Cinema horror non può far altro che godere per via delle innumerevoli citazioni a pilastri del genere, da “It” a “Shining”, da “Hellraiser” a “The Strangers”, da “Venerdì 13” a “La casa”.

Goddard esordisce quindi con un titolo di rilievo, e le sue doti registiche, dalle carrellate fluide all’interno della baita fino all’uso preciso del montaggio per accrescere la tensione, si notano e colpiscono. Tutti gli attori sono in parte, e il cameo della meravigliosa Sigourney Weaver sul finale dona un punto in più al film che, nonostante una chiusura abbastanza didascalica e chiusa su se stessa, riesce a regalare uno spettacolo travolgente e di grande stile. La personalità di Goddard si vede chiaramente, ed egli si dimostra un autore in grado di giocare con il genere per realizzare un prodotto con un’identità ben precisa.

Alcune delle gabbie contenenti i mostri presenti nel terzo atto.

“Quella casa nel bosco” resta quindi un titolo di punta dell’horror del nuovo millennio, un film che ha un obiettivo ben preciso ed è in grado di seguirlo fino alla fine, regalando qualcosa di fresco e frizzante che si distingue dalla massa anonima di horror odierni.