Suspiria, di Luca Guadagnino (2019)

L’arte come liberazione.

L’intrattenimento è specchio di una generazione che vuole fuggire via dalla realtà in un drive in o in una sala lercia con una porzione di popcorn scadente e una bella ragazza affianco.
L’aveva capito Roger Corman, il padre di quei tanti registi attenti al genere che provenivano dal cinema indipendente, che farà ritornare in vetta il cinema americano durante gli anni del rock n’roll, delle droghe, del Vietnam e della più assoluta RIBELLIONE.

 Corman nel 2013 decise di mettere un archivio di più di 400 film sul suo canale youtube proponendo agli spettatori un abbonamento di soli 3.99$  al mese. 

Born to be wild, siamo nati per esser selvaggi, anarchici e questo è il cinema che ci appartiene.

Inoltre il genere, nonostante il suo essere finalizzato all’intrattenimento, con la sua forma eccessiva, esplicita e cruda, riesce sprovvisto di barriere a mettere in campo tutta quella realtà che poi si tramuta in sogno o incubo.
L’aveva compreso anche Tobe Hooper nel 1974 creando con maschere di cuoio e un pazzo che rincorre le sue prede armato di motosega uno dei film che meglio parlano delle paure di una generazione divenuta carne da macello per il Vietnam.
E l’ha capito Guadagnino, in un periodo dove la decadenza del gusto e la riaffermazione dei nazionalismi ha riportato il mondo ad esser spaccato in due, come la Berlino del ’77.

Susie, si lascia alle spalle Suspiria e parte verso una nuova meta.

L’horror, Suspiria di Argento, diventa argilla per scolpire qualcos’altro, ricordo da cui partire e proprio dal genere parte registicamente, aprendo la danza della protagonista che gira su se stessa accompagnata da delle sonorità tipicamente anni 70-80 e chiudendo la sequenza con uno zoom in soggettiva, molto da film di genere, sul volto di Tilda Swinton come ad indicare che dopo l’entrata in scena di Madame Blanc, Dakota Johnson cambierà forma, come cambierà forma l’opera stessa che non vuole rimanere ancorata al passato e quindi ad Argento, ma si dilaterà e si accartoccerà su se stessa proprio come Olga che viene accartocciata dai passi di danza di Susie.

Il tutto espresso con una struttura piena di intermittenze e luci, con il montaggio che la fa da padrone e decide di cibarsi qua e là della pellicola.
Ennesima dichiarazione d’intenti, e ce ne sono molte all’interno dell’opera di Guadagnino. Dalla prima sequenza dello psichiatra che mostra il delirio, il corpo di Chloe Grace Moretz (e nel cinema di Guadagnino sono molto importanti i corpi) incapace a star fermo, quasi impossessato da una forza sovrannaturale che la spia, la tiene in movimento e modifica la sua percezione della realtà, alla bellissima “Suspirium” di Thom Yorke che già nei titoli di testa ci preannuncia tutto:

“All is well, as long as we keep spinning”
e ancora
“Know tomorrow’s at peace”

Per Guadagnino (e Yorke) solo continuando a danzare tutto andrà bene e si arriverà alla pace eterna.
Solo l’arte può salvarci ed è qui che la scelta di dirottare il tutto da Friburgo a Berlino risulta vincente.

Il regista crea quell’impalcatura socio-politica che ben sorregge il tutto, perché la Berlino divisa è sì il cuore della guerra fredda, ma è anche il posto dove negli antri più marci si sviluppa la ribellione con tutta la scena musicale e underground della West Berlin anni ’80.
L’arte come ribellione e liberazione (c’è anche una scena dove dei punk vengono cacciati dalla metro).

Se nella realtà dalle viscere di Berlino usciva fuori la ribellione musicale, dalle viscere della scuola esce Susie che con la sua chioma rossa porta luce e fa da contrasto al grigiore delle strade tedesche.
Un’americana che dall’interno delle sale da ballo combatterà la sua guerra verso tutto ciò che c’è fuori dalle pareti della villa, un mondo patriarcale, ignorante e violento che non crede nell’arte e nella donna.
E qui figura essenziale diventa lo psichiatra (interpretato dalla camaleontica Tilda Swinton) che incapace di attraversare i “confini” ha perso la moglie e che, come gli diranno le streghe, ha passato tutta la sua vita a credere che le “verità” espresse dalle donne incontrate fossero deliri di persone psicologicamente instabili.
E allora spetta alle streghe, a quelle figure che venivano prese per eretiche e messe sul rogo, punire l’essere umano e cancellare i suoi ricordi.

La rinuncia alla memoria, la rinuncia al passato e all’arretratezza culturale diventano unico modo per favorire una rinascita, un nuovo ordine fondato sull’arte, proprio la danza con i suoi salti, non sempre leggiadri e graziosi qui anzi violenti e decisi, che cerca di far svettare in alto la protagonista che DEVE imparare a lasciare il pavimento e puntare verso qualcos’altro.

È l’accettazione del male, la rimozione del passato violento, lo spiccare il volo tramite l’arte, che ci libererà dal male stesso.

(Carmelo Leonardi)