The Young Pope, di Paolo Sorrentino (2016) Prima stagione

DIVERSIFICAZIONE DEI FORMATI E CONSEGUENZE

Operando per la prima volta in uno spazio seriale, il regista partenopeo riempie un’ulteriore tassello del suo parodico mosaico, affrontando a viso scoperto una delle principali ossessioni della cultura italica: il papato.

The Young Pope non è un progetto produttivo minore del regista premio Oscar, i 40 milioni di budget a disposizione hanno permesso di adattare il marchio “sorrentiniano” alla televisione, con tutte le conseguenze che si porta dietro il cambio di medium. A primo acchito, la serie Tv si configura come la versione più bilanciata e meno dispersiva de “La Grande Bellezza”, partendo dall’ambiente rappresentato, ossia una singola porzione di Roma. Ovviamente stiamo parlando del vaticano e dei suoi ricchi giardini figli di un’altra epoca, mostrandoci un mondo più chiuso e meno sfilacciato rispetto all’intera capitale. L’altro beneficio è senza ombra di dubbio il linguaggio stesso della televisione, per ovvi motivi dilatato dalle tempistiche e dai formati di una stagione, permettendo una macerazione dei contenuti maggiore rispetto alla controparte esclusivamente cinematografica. Sia chiaro, Sorrentino rimane sempre libero e anarchico nelle sue scelte registiche e narrative, ma molto meno invasivo nell’affrontare la costante parodizzazione e deformazione della realtà, limitato dalle 2/3 ore per film che non permettono una certa metabolizzazione di un universo già difficile da assimilare al primo impatto.

La personalità di Lenny Belardo è un po’ il riflesso del cinema dello stesso Paolo Sorrentino.

INCLINARE IL REALE

Il Papa statunitense Lenny Belardo, ago della bilancia di tutti e 10 gli episodi, è un uomo compiaciuto e mentalmente d’acciaio, capace di sorreggere e vincere scontri verbali su tematiche spinose e particolarmente accese, sia con cardinali (impressionanti i duetti con il suo apparente braccio destro Angelo Voiello) e segretari di stato interni allo stesso papato, senza abbassare il livello della sua retorica e grande cultura anche durante i pochi incontri con personalità, in genere politiche, al di fuori del contesto cattolico. Il personaggio protagonista è un sabotatore delle idee secolari della chiesa, un incredibile rivoluzionario portatore di leggi pronte a distruggere i confini e i contatti con il popolo cattolico, fino a una completa chiusura del cattolicesimo in una setta sprezzante e violenta contro gli adepti della fede in Cristo.

Se mettessimo da parte questo grande mantello invisibile, impersonificato da un perfettamente in parte Jude Law, troveremo un uomo facilmente malleabile solo nei momenti in cui il suo passato ritorna inesorabile. Le scorie dell’infanzia e della gioventù del giovane Papa sono i catalizzatori di due fondamentali personaggi, Suor Mary e il cardinale Spencer, gli unici consiglieri affidabili secondo Lenny. Questi sprazzi biografici sono disseminati in diversi episodi e rappresentano gli unici aspetti lirici (anche grazie alla spettacolare illuminazione di Luca Bigazzi) di tutta la serie.

Sorrentino mette in scena un gioco a scacchi, un ventaglio di segreti incofessabili non dissimili dagli avvenimenti di Westeros nella prima stagione del fenomeno “Game Of Thrones”, in cui anche la morte (non fuori campo) è presente sottoforma di suicidio all’interno dello stesso vaticano. I personaggi sorrentiniani sono un grande campionario di vizi umani, delle ingombranti sceneggiature autocompiaciute di se stessi (Il Silvio Berlusconi del futuro “Loro” o il Jep Gambardella de “La Grande Bellezza”, sono dei precisi esempi), in cui pure il più alto vertice della rispettabilità umana, come la chiesa, viene decostruita e sabotata nei suoi intenti ideologici. Non esiste differenza tra sacro e profano, è un boicottare continuamente la missione della chiesa stessa. Verso metà stagione avviene la definitiva esplosione dei simbolismi di smantellamento istituzionale già accennati pocanzi, vediamo dei cardinali vestiti con la maglia calcistica del Napoli (una delle ossessioni principali della biografia del cineasta), una sottile suggestione erotica che attraversa un episodio in particolare, il parallelismo tra i pontefici e le rockstar, e per ultimo, l’indisponibilità di Lenny a rendere visibile e pubblica la sua identità al popolo.

Si parla di calcio, sessualità e idee poco etiche. L’etica religiosa si abbassa secondo lo sguardo di Sorrentino.

Trattasi della rappresentazione di un grande teatro della deformità estetica, non tanto vicina a movimenti registici o scelte fotografiche, anzi sempre sinuosi, eleganti e altamente barocchi, ma più su un piano caricaturale (uomini nani o versi vocali di autentici bambini disabili in cui si ride amaramente) e dialogico, quindi narrativo, anche se pure in questo non possiamo che ravvisare un cambiamento marcato soprattutto negli ultimissimi episodi, in cui questo discorso viene indissolubilmente meno. Le rughe accentuate dei cardinali, le facce ricurve o addirittura piene di visibili e disgustosi brufoli, sono alcune delle brutture estetiche messe sapientemente in scena. In sintesi, oltre all’impostazione registica e fotografica, l’unica bellezza visiva è raffigurata dal lavoro scenografico degli ambienti e dagli sfarzosi costumi di scena.

Durante il penultimo episodio si divaga rispetto al resto della stagione, dimostrando un’elasticità tipica della neo-serialità.

Coraggiosamente, il regista nostrano continua il suo percorso nei rispettabili ambienti della cultura italica, attestando per la prima volta un progetto seriale italiano sui livelli della televisione statunitense.

(Paolo Birreci)