Venezia 78 – Freaks Out, di Gabriele Mainetti

Il cinema di Gabriele Mainetti si presenta al Lido di Venezia dopo sei anni d’assenza. Era infatti il lontano 2015 quando Lo chiamavano Jeeg Robot, presentato per l’occasione alla Festa del cinema di Roma, esplose diventando un piccolo instant cult del cinema italiano, portando alla ribalta Marinelli, Santamaria, Mainetti e Guaglianone. E possiamo dire che Mainetti c’è cascato di nuovo, il suo cinema adesso è veramente esploso. Proprio come un’onda elettrica che spazza via tutto ciò che incontra sul proprio cammino. Mainetti va verso nuovi lidi, quelli internazionali. Quelli che aveva aperto con il suo primo film. Facendo credere a pubblico e critica che un cinema nuovo, moderno e pop, ma anche profondamente italiano, potesse prendere sempre più forma. Ed effettivamente dopo Jeeg Robot tutto il cinema italiano contemporaneo ha sfornato sempre più prodotti in cerca di aperture verso l’esterno, ma con scarsi risultati. Senza mai riuscire ad arrivare alla compiutezza di un regista dal respiro internazionale come Mainetti. Ha deciso allora di rimettere le cose in chiaro, far capire fino a dove si possa arrivare anche qui in Italia. E dobbiamo dire che dal punto di vista spettacolare i livelli raggiunti da Freaks Out sono abbastanza sbalorditivi.

Freaks Out è ambientato in Italia durante il 1943 dove Matilde, Mario, Cencio e Fulvio vivono nel circo di Israel compiendo delle esibizioni uniche grazie alle loro abilità sovrannaturali. Dopo pochi minuti la prima spaccatura. Il circo viene distrutto. Siamo durante la seconda guerra mondiale e i nazisti, sempre più vicini alla sconfitta, continuano a fare rastrellamenti in giro per Roma, cercando nel frattempo una soluzione per evitare la debacle. Qui compare il personaggio di Franz, unico a comprendere realmente la gravità della situazione. E unico a cercare un rimedio, provando a formare un gruppo di superuomini che combattano per lui e il Terzo Reich.

Proprio il personaggio di Franz, intrepretato da Franz Rogowski (Undine) è quello più interessante e tridimensionale. Folle fino al midollo, vessato dal fratello e i commilitoni sembra quasi un Joker, con sei dita e in preda alla allucinazioni da Etere, che cerca la sua rivincita personale, il suo spazio in un mondo che l’ha sempre rifiutato per via della sua deformità. Ed il film è proprio la rivincita delle deformità. La presa di coscienza, la lotta e la resistenza in un’Italia deformata dal fascismo. Un film d’assoluto fascino e di gran costruzione visiva, scritto ottimamente se non per i momenti più comici tirati in ballo soprattutto dal personaggio di Castellitto che raramente riescono ad esser efficaci. Ma il film ha comunque più di un problema.

Un congegno preciso e spettacolare, più spettacolare di Jeeg Robot, ma nettamente con meno cuore rispetto a quest’ultimo. Il cinema, internamente, è un oggetto che deve aprirsi il più possibile per invadere come l’onda elettrica di Matilde. Qualcosa che traccia la via maestra, ma che ti fa perdere per i sentieri di campagna, qualcosa che può aprirti la mente e farti scoprire nuove strade. Jeeg Robot per quanto lo facesse limitatamente era un prodotto “aperto all’interno”, qualcosa che poteva diventare altro all’improvviso. Un film sui supereroi, un crime, un film sulle periferie romane o persino un musical guardando alle esibizioni canore (e non) di Luca Marinelli. Freaks Out invece sembra un film veicolato, costruito per piacere che cerca di dialogare tra un Neorealismo spicciolo e inesistente e un mondo pop, ultramoderno da Marvel Cinematic Universe. Fa ampio uso di citazionismo gratuito tra La Ciociara e Roma città aperta, canta Creep dei Radiohead e Bella Ciao per creare quei momenti d’incontro verso il pubblico, farlo esaltare e ottenere il suo rispetto, ma sono incontri fugaci. Rapporti tra persone avvenenti che poi fuggono via per mai più ritrovarsi e io sono troppo giovane per smettere di credere in me stesso e nella lotta per l’amor puro.

(Carmelo Leonardi)