Venezia76: La Verité, di Hirokazu Kore’eda

La Verité (The Truth) – In concorso

Regia:Kore-eda Hirokazu
Durata:106’
Lingua:francese, inglese
Paesi:Francia, Giappone
Sceneggiatura:Kore-eda Hirokazu
Fotografia:Eric Gautier
Montaggio:Kore-eda Hirokazu

Il film di apertura di Venezia76 vede coinvolto il cineasta palma d’oro con un’aggiornata iconografia occidentalizzata.
Allontanandosi da un discorso fortemente intimo, in cui la famiglia rimane sempre la centro, si devia su un lavoro maggiormente teorico riferito a un ipotetico fuori campo proibito che vede coinvolti alcuni membri di un nucleo familiare formato da diversi mestieranti all’interno di un set, dove Kore’eda riserva un attenzione maggiore a sceneggiatori e attori.

Il personaggio di Catherine Deneuve, diretta per la prima volta da Koreeda, è un’attrice poco propensa al raggiungimento teorico di una verità autentica (dallo stesso titolo del film) attraverso la macchina cinema. É un’operazione che supera il semplice set cinematografico, per raggiungere la stessa vita personale di una persona. L’artificiositá di queste relazioni che non riescono più a essere umani, fa scattare una molla di disumanizzazione totale.


Strutturalmente il film si muove su binari poco lineari esprimendo un discorso umano e meno artificioso solo nelle battute finali in cui pure elementi extradiegetici, come un contesto musicale, emergono maggiormente concludendo con un discorso registico di più ampia portata, come dimostra il piano medio dall’alto che vede riuniti in una singola inquadratura l’intera famiglia per dare un senso uniforme e meno freddo e creando un cortocircuito con quei primi piani fuori fuoco precedenti; liberando quella razionalità inebriata da linee di dialoghi indicativamente connessi ad argomenti prettamente lavorativi (sempre cinematografici) tipici della prima ora.

Il matriarcato della Deneuve permette al cineasta giapponese di discutere una certa mitologia della figura attoriale e dei suoi cambiamenti all’interno della storia stessa della recitazione cinematografica.
Una dichiarazione d’intenti forte viene percepita dallo spettatore giá durante il primissimo dialogo d’apertura in cui si discute di actor studio. Opposto invece il discorso della Deneuve, tempestata da pensieri vicini allo star system dei grandi red carpet e dal fanatismo classico del concetto di divo.
È un corpo ingigantito e vagamente wellessiano, quello della Deneuve, circondato da un decadentismo visibile, come si può notare dalla caduta di una collana nello stesso set.

Decadentismo che diventa disillusione arrivando a intaccare il suo stesso lavoro da attrice, rifiutandolo inizialmente per poi ritrovare quell’umanismo perduto solo nella conclusione.

(Paolo Birreci)