Venezia77 – Lacci, di Daniele Lucchetti

Fuori Concorso / 100′ / Italia

Nell’aria si sente un’atmosfera strana, Venezia in mascherina sembra quasi irriconoscibile.
Nessuna fila chilometrica, tutti i visi coperti, tutti con la testa china sul cellulare per prenotare prima degli altri.
Quella di quest’anno è una Mostra indubbiamente diversa, dove a causa di un terzo incomodo il rapporto tra il cinema e lo spettatore è stato messo in discussione, ma c’è ancora un piccolo barlume d’amore che vive nascosto in una scatola magica, proprio come nel film di Lucchetti, che è ricordo di quei tempi felici in cui ancora un distacco non c’era.


Si è scesi a patti, cercando ad ogni modo di tener stretto con un laccio senza doppio nodo lo spettatore alla sua sala.

Per l’ultimo anno di Barbera, si è deciso di aprire il festival con un film che parla continuamente di lacci, legami e scatole magiche; e credo che nessun altro film, che non fosse quello di Lucchetti visto ieri in Sala Darsena, avrebbe potuto aprire meglio una mostra così strambo e distanziato.

Lo spirito di quest’edizione sta tutto lì, in quel continuo andare e tornare di Luigi Lo Cascio dalla sua Alba Rohrwacher, in quel continuo rompere oggetti a terra e negli urli dove tiriamo fuori tutta la nostra rabbia per poi abbandonarci ai pochi momenti dolci dove si ricorda e si grida al pubblico del Lido: “riproviamoci… insieme”.

Per creare qualcosa di nuovo, per prendere coscenza delle cose c’è sempre bisogno di affrontarle.

C’è sempre una morte dopo la vita e una nuova vita dopo la morte.
Bisogna trovare l’ordine nel caos ( e guardando Lacci capirete meglio) e ricominciare di nuovo, sotto una nuova forma.

Ci facciamo prendere in giro da un’immagine, da una ragazza attraente e ci ritroviamo vecchi davanti allo specchio.
Cambiati, come Lo Cascio che diventa Silvio Orlando e Orlando che un po’ diventa Lo Cascio.
Il cinema fa lo stesso, invecchia, muore e ogni giorno si rinnova in nuove forme.
Nella sua fase forse più oscura, mentre ogni tanto ricorda la forza che aveva un tempo (proprio come fa Orlando con la moglie, interpretata dalla bellissima Morante, in un simpaticissimo siparietto), analizza se stesso e decide di ripartire.

Lacci, che riporta a Venezia Daniele Lucchetti (I piccoli maestri, 1998), parla di Vanda e Aldo, coppia con figli che a causa di Lidia (Linda Caridi), di cui Aldo è innamorato, si separeranno.
Interessi differenti; Aldo lavora in radio, scrive libri e diventa un pezzo grosso con poco tempo da dedicare ai figli; Vanda si carica sulle spalle tutta la responsabilità della crescita dei ragazzini cercando in tutto e per tutto, e fregandosene delle ferite lasciategli da Aldo, di riottenere quel legame che teneva unita tutta la famiglia.


Per quanto i due si allontanino c’è pur sempre qualcosa che continua a legarli.
Ma tutti i lacci prima o poi però si sciolgono.

La stessa struttura del film, tratta dall’omonimo romanzo di Starnone, è un grosso laccio che attende di esser sciolto.
Il tutto viene contorto, immerso nei ricordi dei propri protagonisti con sequenze che sfumano tra passato e presente.
Il montaggio gioca parecchio con i tempi e, nonostante possa essere l’aspetto più interessante di tutta l’operazione, risulta essere un po’ gratuito, un po’ costruito ad hoc per far giocare lo spettatore piuttosto che per un bisogno reale.


Quello di Lucchetti è un buon film.
Belle le interpretazioni, la fotografia e la regia che accompagna le sfumature tra passato e presente (spettacolare l’entrata in scena della Morante), ma in alcuni tratti il film risulta confuso.
Non si riesce a trovare un punto di vista.
Sembra gli importi più creare un grosso gioco quasi giallistico dove scoprire il volto dell’assassino, o del ladro come in questo caso, piuttosto che scendere dentro il cuore del proprio film.

(Carmelo Leonardi)