Venezia78 – Sundown Michel Franco

Fresco vincitore del Leone d’Argento per la miglior regia con Nuevo Orden a Venezia77, torna al lido con Sundown il regista messicano Michel Franco. Sundown è la storia della famiglia Bennett, Alice e Neil, in vacanza ad Acapulco con i figli di lei, Colin e Alexa. Il saldo ordine familiare viene interrotto da uno spiacevole ed improvviso evento che li costringerà ad interrompere il viaggio. I protagonisti si troveranno a dover fare i conti con se stessi e la sempre più efferata violenza della cittadina messicana.

Dopo sei anni Michel Franco ritrova Tim Roth, con cui aveva già collaborato nel precedente Chronic (2015), film ad oggi più riuscito del regista. Per la parte di Alice Bennett, Franco chiama Charlotte Gainsbourg e le cuce addosso un personaggio insipido e senza spessore. La Gainsbourg però non è l’unica “figurina” abbozzata da Franco a cui piace, ormai si è capito, lavorare in superficie su personaggi misteriosi e indecifrabili. Si bypassa tridimensionalità ed empatia andando a costruire un cinema distante dal pubblico e praticamente inafferrabile. Senza dialoghi rivelatori, senza compromessi, con il pubblico che a poco a poco riesce a ricollegare, forse anche troppo presto, i pezzi del gioco ad incastri del regista messicano. Questo lavoro sulla sottrazione e sul fuoricampo che invade lo spettatore ad ogni “non espressione” di Tim Roth è da sempre uno dei punti di forza di Franco che però con il proseguire della storia perde il racconto per l’ennesimo incastro, l’ennesimo gioco scioccante che allunga il brodo in un film, quello più breve del concorso, in cui forse non ci sarebbe stato assolutamente bisogno di un passo così lento e sfiancante. I ritmi infatti sono molto meno serrati rispetto a Nuevo Orden e la narrazione procede lenta fino al finale secco e algido. Ma cosa ci voglia effettivamente raccontare il regista rimane un mistero. L’unica cosa degna di nota è il personaggio odioso di Tim Roth pronto a passarsi le sue vacanze in quel di Acapulco a discapito di tutta la famiglia e senza la benché minima preoccupazione su ciò che le proprie azioni possano arrivare a creare. Non c’è nessuna motivazione, se non la noia di un uomo che, in un modo o nell’altro, vivrebbe comunque la sua vita agiata. E quello che ci viene rappresentato è un male ingiustificato, e forse realmente il male alle volte è ingiustificato, ma qui il tutto sembra pianificato sin dalle prime battute per destare shock nello spettatore. Il gioco viene svelato dopo pochi minuti, tutto il resto è noia che serve a Franco per urlare inutilmente ai quattro venti quanto faccia schifo l’uomo potente e anaffettivo.