Veronica Mars, Rob Thomas (2004-2019)

Veronica Mars, serie tv nata nel 2004 dal creatore Rob Thomas, rappresenta uno dei tanti piccoli fondamentali tasselli che hanno scritto e influenzato il mondo della serialità televisiva, sempre pronto a inseguire, evolversi e sperimentare. La creatura di Rob Thomas, in effetti, ricopre una certa rilevanza sotto una vasta molteplicità di aspetti, che vanno dal genere alla narrazione, dai personaggi e alla cifra stilistica; altrettanto rilevante è la sua incursione nell’immaginario di una certa generazione e i rapporti intrattenuti, nel tempo, con altri media. Si cercherà quindi, in questa piccola analisi, di affrontarne le singolarità, gli aspetti rilevanti e definirne l’importanza.

CONTAMINAZIONI

Sin dai primi minuti del pilot–che è quell’episodio fondamentale che in ogni serie rappresenta il punto di partenza di un originale universo immaginario, e deve quindi definirne i ritmi, le regole intrinseche, lo stile e i meccanismi–ci ritroviamo subito immersi in qualcosa di nuovo: la piccola e immaginaria città di Neptune rappresenta l’epicentro di un nuovo genere, il punto d’incontro di una contaminazione a doppia direzione che pone il suo centro gravitazionale nella protagonista Veronica Mars. È lei il fulcro narrativo dell’intera serie e, infatti, è proprio dal suo personaggio che l’ibridazione si espande: teenager studentessa e investigatrice privata, Veronica transita tra due mondi, tra due generi, il teen drama e il noir, mescolandoli e dando vita a un universo in miniatura dove si respira un immaginario diverso, un’atmosfera nuova. Il teen drama e il noir, che fino allora, almeno nella storia della serialità, erano sopravvissuti come generi tendenzialmente rigidi, grazie a questo personaggio, diviso tra il mondo del giorno e il mondo della notte, diventano generi liquidi, si contaminano, si giustificano a vicenda, s’incrociano in rapporti di causa-effetto, scatenando dinamiche completamente nuove.

Dopo aver presentato Veronica Mars nei panni di una teenager, incollata come una figurina su quella superficie patinata da teen drama, la serie procede oltre, dietro quella parete e lentamente disegna un profilo sempre più complesso, sempre più stratificato. Così s’iniziano a scoprire gli angoli più bui di un immaginario in cui si annidano tutti quei caratteri di segno tipicamente noir, in un certo senso idiosincratici col genere teen. La stessa Veronica, acuta, scaltra e anche estremamente cinica, si rivela agli antipodi di quell’ingenuità di segno teen, lasciando trapelare un’amarezza e un pessimismo di fondo: i due generi, in un certo senso, lavorano insieme e in contrasto.

Veronica Mars, Il laureato (Mike Nichols, 2967)

La serie, con molta consapevolezza, è disseminata di omaggi e citazioni alla grande storia del cinema, alcuni velati, altri decisamente espliciti. Il fatto interessante di questi riferimenti è che spesso non sono rilegati a una marginalità di citazionismo gratuito, bensì si rivelano estremamente ponderati e, anzi, aiutano a definire alcuni tratti sbiaditi della serie. Uno dei riferimenti lampanti all’universo cinematografico è la famiglia più importante di tutta la serie, la famiglia Kane, il cui nome rimanda senza indugi al Charles Foster Kane di wellesiana memoria (tant’è che addirittura un personaggio dirà “Return to Xanadu”, per schernire un compagno).
Ecco, in questo senso, oltre all’ovvio parallelismo con la ricchezza, il nome rimanda certamente anche al mistero, conferisce un’aura di oscurità e ambiguità ai membri della famiglia, e questo sentimento di dubbio trasmesso troverà valore nei fatti della serie, visto che uno dei più grandi interrogativi della serie è il segreto della famiglia Kane.

Arianna (Billy Wilder, 1957)

Ora, un po’ per rievocare lo spirito citazionista della serie, un po’ perché si tratta di un riferimento abbastanza funzionale per tentare di trasmettere ulteriormente quella sinergia tra teen drama e noir, ci si potrebbe inventare un parallelismo con un meraviglioso film di Billy Wilder, Love in the afternoon(1957): la Mars Investigations, con tutti i suoi dati, in cartelle e file digitali, funziona un po’ come  i cassetti in cui sbirciava Audrey Hepburn, nell’archivio del padre-investigatore (proprio come Veronica con il padre, Keith Mars); questo perché così come la Hepburn sfruttava il dato per soddisfare la sua curiosità o per immischiarsi in questioni di intrighi e, involontariamente, cadere tra le braccia di Gary Cooper, qui Veronica utilizza sì il dato in maniera diversa (in quanto anche investigatrice-aiutante), ma non troppo dissimile visto che la serie mescola crime, noir, e teen drama, e perciò anche qui l’informazione finisce spesso per declinarsi da tassello per la detection al tipico innesco teen (scandali, tradimenti, intrighi, …). L’ottima scrittura di Veronica Mars si ritrova, tra le tante cose, proprio in questo gioco perfetto di dinamiche differenti che riescono a convivere e, soprattutto, dialogare nello stesso spazio.

DIAFRAMMI NARRATIVI

Partendo dal presupposto che la grandezza e il valore di un’opera sono suggeriti, tra le tante cose, anche dalla polifonia di tutti i suoi canali, dalla dialettica e dalla coerenza tra le sue parti, si potrebbe aprire l’analisi della struttura narrativa della serie riprendendo, ancora una volta, il discorso di genere.

L’istanza di racconto, l’impulso, dal quale si articola l’intreccio, regolandone i ritmi e le modalità, è Veronica Mars, in particolare tutto è orchestrato dal suo costante voice over, cioè da quello che si definisce un narratore di secondo grado omodiegetico. È in questo senso la correlazione col genere, poiché si tratta di una cifra stilistica che riacquisisce una ricorrenza del genere noir. Lo spettatore è guidato dal verboso voice over di Veronica, una sorta di flusso di coscienza che rivela tutti i processi mentali e conduce la narrazione con estrema chiarezza, calando chi guarda (e ascolta) in un’interiorità che ci permette, attraverso un ampio utilizzo di flashbacks, di dare profondità agli aspetti psicologici del personaggio ma, soprattutto, di illuminarci sulla “preistoria” della serie, sulle lacune d’informazioni del presente narrativo. Dunque, nonostante sia una serie innovativa e che richiede una certa maturità rispetto a quella richiesta al target di riferimento, l’intreccio è sviluppato in modo limpido, cerca di muoversi, al di là degli enigmi narrativi, su una chiara linea narrativa.

Nella storia della serialità televisiva, molte delle ‘TV series’ che hanno conosciuto un rapido declino hanno in comune di non essere riuscite a superare uno degli ostacoli più problematici della complessità narrativa: trovare un equilibrio funzionale tra la forma a episodi e la forma seriale. È da questo bilanciamento, da questo gioco armonioso d’informazioni e d’infiltrazioni, che spesso dipende l’appeal sullo spettatore, la longevità della serie e di conseguenza l’ingresso nell’immaginario collettivo. Una narrazione di questo tipo (seriale), infatti, è intrinsecamente legata a uno stato di frammentazione episodica e ha perciò bisogno di un certo equilibrio per sopperire a questa naturale segmentazione: da un lato ogni episodio necessita di una coerenza interna e di un’autosufficienza narrativa; dall’altro deve poter creare fenditure nell’universo narrativo, deve diventare un tassello in grado di ‘nutrire’ la mitologia della serie, arricchirne la (macro)storia oltre l’intreccio autoconclusivo. Tra le serie che sono riuscite a instaurare questo equilibrio, questo dosaggio d’informazioni, c’è sicuramente Veronica Mars, che grazie agli espedienti garantiti da una soggettività che ci guida all’interno di una narrazione– quindi all’accessibilità al passato, ai flashbacks– riesce ad ascoltare all’interno del singolo episodio una pluralità di voci, creare un equilibrio e costruirsi così in tre dimensioni e direzioni: il singolo episodio, regolato sul modello del “caso della settimana” o del “caso del giorno”, riesce ad essere autosufficiente a livello narrativo e ad affinare i profili psicologici dei personaggi; poi, con uno sguardo al passato, rende lo spettatore sempre più consapevole della situazione presente, illumina gli angoli bui; infine, dei piccoli tasselli narrativi vanno ad arricchire il mistero della macrostoria, a (ri)costruire il puzzle.

SGUARDO E SOGGETTIVITÀ

Se finora si è parlato di una sorta di “sovversività” e innovazione riguardo ai confini imposti sui generi e sui personaggi che li popolano, senza dubbio quest’aspetto è altrettanto evidente nella messa in scena della serie. Le ricorrenze formali di questa serie, infatti, non rispecchiano assolutamente quella che è la norma per questi generi, il cui target di riferimento “imponeva” scelte compositive e di regia tendenzialmente attaccate alla regola, tradizionali, ponendo sempre l’importanza primaria sull’azione.

In Veronica Mars, al contrario –anche il virtù di un carattere narrativo profondamente personale­ e soggettivo che implica una realtà parziale–lo sguardo sul mondo è spesso distorto, e nella messa in scena assistiamo a vorticosi movimenti di macchina, grandangoli marcati, vertiginosi plongèe, … Quando si parlava, nel capitolo riguardo alla narrazione, di un’interiorità, quella di Veronica, che ci guida all’interno dell’universo della serie, allo stesso modo questa particolare messa in scena plasmata su persistenti oggettive irreali evidenzia come lo sguardo sul mondo della serie provenga da una soggettività, cui consegue perciò una distorsione delle cose del mondo, attutata a livello visivo da questi stratagemmi filmici, perfettamente coerenti con il resto delle scelte stilistiche della serie.
Inoltre, questa wondering camera sempre in movimento evidenzia il carattere investigativo di uno sguardo sempre alla ricerca d’indizi, che esplora lo spazio e lo distorce sotto la lente del detective.

Allo stesso modo la fotografia trasgredisce un’ideale regola cromatica e spezza la continuità attraverso cambi repentini di tonalità e pulizia dell’immagine, dal neutro si passa all’oro estivo o al blu cupo, dall’immagine definita al patinato o, a volte, all’effetto flou.

INTERMEDIALITA’ E GIOCHI NARRATIVI

Quando si parlava di narrazione, si faceva riferimento al voice over di Veronica come a uno spirito guida all’interno di un mondo tutto da esplorare, un soggetto in grado di prendere i fatti di quell’universo e comporre strutture di senso, interpretando gli indizi per lo spettatore. In un certo senso, perciò, s’instaura un dialogo lo spettatore, che è interpellato dai monologhi interiori e dai salti di memoria di Veronica: il pubblico, il “lettore”, diventa un’istanza virtuale interna al testo, che giustifica quel tipo di narrazione. Si tratta di un’operazione di una consapevolezza estrema, poiché la serie sembra rendersi conto della sua stessa natura, contrassegnata ormai da un legame profondo col pubblico, quasi da una subordinazione. Quello che interessa di questa dinamica, finora attuata sottotraccia o sotto forma di divertissement, è che andando avanti nel tempo acquisirà una progressiva centralità.

Nella seconda stagione [S02E01], si può osservare una scena che dimostra, con una certa raffinatezza di scrittura, il perseguimento di questo (meta)discorso: Veronica insegue lo spettro sfuggente di Lily, gira l’angolo e s’imbatte in Weevil. Il tergiversare con Weevil fa distrarre Veronica, che finisce per perdere il bus con cui sarebbe dovuta ripartire, quello stesso bus che poco dopo sarebbe tragicamente precipitato da una scogliera.

C’è qui qualcosa che va oltre la solita apparizione fantasmatica, quella visione di demoni passati che si è vista tante volte, bensì sembra attuarsi una sorta di ruolo salvifico della storia, come una provvidenza narrativa palesata. Se Veronica non avesse seguito quella visione del fantasma di Lily, un’allucinazione tutta interiore, non avrebbe visto Weevil subito dietro l’angolo e sarebbe risalita in tempo sul bus; il senso di una dinamica di questo tipo è, sottotraccia, di rivelare la presenza di un’entità narrativa che tira le redini della storia e non può permettere ai personaggi narrativamente egemoni di perdere il loro posto.
La consapevolezza di un profondo legame con il pubblico si manifesta perciò a livello strettamente di racconto, con la voce di Veronica che si rivolge allo spettatore, ma anche a livello di storia, di eventi, come nell’esempio appena descritto.

Inquadratura finale della terza stagione.

L’aspetto sorprendente di questa dinamica e della coscienza di questa condizione è che si rifletterà con accecante evidenza proprio nella Storia della serie TV: Veronica Mars, a causa dell’instabilità degli ascolti, verrà cancellata nel 2007, dopo la fine della terza stagione. Qualche anno dopo, nel 2013, con un progetto di crowdfunding su Kickstarter, verrà raccolto in meno di 24 ore più del doppio della somma necessaria per produrre un film tratto dalla serie. Quindi, prima, il pubblico con i suoi ascolti aveva causato la cancellazione del programma; poi, sempre il pubblico, che nello specifico sarebbe più accurato definire fandom, ha decretato la rinascita di quel mondo che sembrava perduto per sempre. Il caso Veronica Mars è l’emblema di un paesaggio mediale sempre più stratificato e articolato, in cui l’universo dei fruitori partecipa alla circolazione delle opere, ne decide il destino e, spesso, ne influenza i risvolti.

Ed ecco che, nel 2014, esce il film su Veronica Mars, un’opera che ritorna, con ancora più forza, su un racconto autoriflessivo, che ragiona su se stesso, sui personaggi, e sul quel rapporto spettatore-opera ormai completamente ridefinito. È come una riproposizione della logica extratestuale che decide le sorti della Storia, all’interno della storia stessa: l’inizio del film ci presenta la nuova vita di Veronica (volendo forzare la mano, anche quella di Kristen Bell), una vita che è ormai lontana, nel tempo e nello spazio, dalla Neptune che abbiamo conosciuto nelle passate stagioni. Dopo pochi minuti, la presenza in fuoricampo di un passato che ritorna inizia a farsi più ingombrante, fino alla rivelazione che riporterà inesorabilmente Veronica tra le braccia di Neptune. Ma il vero momento che decreta l’ingresso, che palesa le intenzioni metadiscorsive, avviene pochi istanti dopo quando un artista di strada canta We used to be friend, l’iconica sigla della serie, e cos’è la sigla se non un indicatore d’ingresso?

Veronica è quindi come costretta da forze che la trascinano verso quel microcosmo eternamente corrotto, legato a una circolarità, a logiche di ritorni, ripetizioni, echi, amori che si ricompongono. Allo stesso modo i personaggi sembrano invischiati in un modello che non possono cambiare, destinati a ricadere negli stessi errori e ad essere preda delle stesse debolezze. Questa impostazione metatestuale esploderà, definitivamente, nella nuova stagione. Il film sembrava avere segnato la fine di tutto, ma ancora una volta, dopo cinque anni, nel 2019 Veronica Mars torna con una quarta stagione prodotta e distribuita da Hulu.

Una lunga carrellata, che inizia sospesa in aria, in mezzo al mare, ci riconduce velocemente verso Neptune, verso una scena del crimine. Come un tentativo di fuga verso il mare aperto, negato, poi un rewind.

In questo movimento ci accompagna, come sempre, la voce di Veronica:

“I spent my first 19 years trying to escape my hometown of Neptune.”

La natura dei monologhi di questa stagione, a partire proprio da questa opening line, manifesta una tendenza a un certo fatalismo, a un’ineluttabilità che rende evidente l’intento discorsivo, il punto su un microcosmo in cui i personaggi iniziano a rendersi conto del loro essere “scritti”, immutabili.

Oltre a portare avanti questo discorso, la serie inserisce anche altri elementi che aiutano a inspessire il quadro autoriflessivo generale: nel corso della stagione, per esempio, si scopre gruppo di fanatici che fa incontri multimediali in videochiamata per discutere dei crimini irrisolti, in particolare dell’omicidio Lilly Kane, con una conoscenza profonda della mitologia della serie. Si tratta evidentemente di una sorta di “forum”, un fandom investigativo trasposto dalla realtà al testo, che entra in contatto coi personaggi della serie. Continua perciò l’inserimento di dinamiche extratestuali all’interno della serie, e questo fandom investigativo arriva per mettere in rilievo quel rapporto di gerarchie completatamente ridefinito nel corso del tempo, dove il pubblico contribuisce ad alimentare la mitologia della serie coi propri contenuti, in un rimbalzo reciproco tra mondo mediale e mondo social.

“Black Musem”, Black Mirror S04E06


Nonostante un’impostazione su una sorta di eterno ritorno, è chiaro che si è di fronte alle battute finali di Veronica Mars, e la serie rende palpabile il crollo di quel mondo attraverso la progressiva restrizione del microcosmo di Neptune, con un ritorno di tutti i personaggi e di alcune dinamiche. Addirittura Veronica entra in una prigione che rinchiude le persone che appartengono alla vecchia mitologia, quelle incastrate nelle stagioni passate; sembra di entrare in una sorta di Black Museum concettuale, un museo di statue di cera consultabili, immutabili, che serra ulteriormente le fila del discorso.

Logan: I thought our story was epic, you know. You and me.
Veronica: Epic how?
Logan: Spanning years and continents. Lives ruined and bloodshed. Epic. But summer’s almost here and we won’t see each other at all. And then you’ll leave town and then it’s over and…
Veronica: Logan…
Logan: I’m sorry about last summer. Y’know if I could do it over…
Veronica: C’mon, ruined lives, bloodshed? You really think a relationship should be that hard.
Logan: No one writes about the ones that come easy.

(Matteo Salvetti)