Dialogues des Carmélites: un evento teatrale tragico ma imperdibile

Dialogues des Carmélites è un’opera di Francis Poulenc, trasposta a teatro da Emma Dante, la cui storia si ispira a un fatto realmente accaduto: l’esecuzione durante il regime del Terrore, di sedici religiose francesi che si erano rifiutate di rinunciare ai loro voti.
Le suore militanti di Poulenc, pronte a vincere la paura della morte pur di non rinnegare la fede, contro i soprusi e i proclami delle guardie della Rivoluzione francese, tanto simili ai paladini dei fanatismi moderni, hanno trionfato sul pubblico che, ha premiato la qualità dello spettacolo e la scelta di un titolo rappresentato.

Un’ovazione particolare a Emma Dante per una regia con soluzioni di forte effetto e il racconto fluido nonostante i continui cambi di scena.
.Niente amori travagliati né le morti classiche dei capolavori del melodramma, in questa inaugurazione coraggiosa che guarda all’attualità. Qui nella storia tutta di donne composta dal musicista francese nel 1953 su un testo di Georges Bernanos ispirato al gruppo di suore mandate al patibolo nel 1794, il dolore e il sacrificio si affrontano per difendere le idee e la libertà di come vivere e in che cosa credere. Non a caso Emma Dante ha spiegato che lo spettacolo è dedicato alle “martiri che sono state e continuano ad essere le donne”. E allora gli sgherri di Robespierre che spogliano e umiliano le monache non possono non far pensare alle violenze di oggi, e l’ annuncio della chiusura del convento con il divieto di continuare a vestire gli abiti religiosi rimanda al suo rovescio attuale, la costrizione al velo e ai vincoli religiosi contro cui si stanno ribellando le donne iraniane.

L’opera è suddivisa in tre atti e dodici quadri con la presenza di frequenti interludi ai quali giova l’abilità ‘sinfonica’ di Poulenc ma che hanno anche la funzione di rendere fluida la narrazione resa intelligibile anche dall’uso pressocché costante del declamato. Le linee vocali affidate ai singoli personaggi, soprattutto quelli femminili, sono spesso costellate di improvvisi passaggi di registro ma mai al limite dell’ineseguibile come spesso la musica del secondo ‘900 presenta ma, ovviamente, viste le caratteristiche appena esposte, richiede da parte dei cantanti una dizione del tutto chiara e comprensibile.

Nell’insieme questa trasposizione gode di una chiara unitarietà tra le varie componenti musicali anche se, alcune volte risulta un poco ridondante, una particolarità che alcuni critici, nel lontano 1957 dopo la rappresentazione scaligera, non mancarono di mettere in evidenza nei loro resoconti. Ci sono, però, dei momenti indiscutibilmente magistrali tra i quali ne vogliamo mettere in evidenza due. Il finale del primo atto con la tragica morte di Madame de Croissy, la Priora del convento, che giunge al termine della sua vita gravemente malata, condizione alla quale non si arrende vivendo il momento del trapasso con intenso dolore interiore, una morte che provoca la disperazione di Blanche de la Force la novizia da lei accettata tra le carmelitane. Un episodio esaltato da dialoghi asciutti e drammatici che la musica riesce a rendere efficacemente teatrale.

Emma Dante ha riempito di simbolismi la sua potente e commovente messa in scena, a partire dalla croce che incombe lungo i tre atti, fissa o oscillante, poi con un Cristo che è insieme uomo e donna

e scende tra le suore fino a confondersi con loro, e infine con Blanche, l’ultima a morire, che come presagio aveva aggiunto proprio l’ Agonia di Cristo al suo nome da Carmelitana. Il destino delle suore combattenti è indicato dai bei costumi di Vanessa Sannino, tra la tonaca e la corazza, che a tratti si trasforma in una camicia di forza, e il copricapo che è elmetto e aureola. Poulenc mostra anche la fede vacillante proprio nella priora in punto di morte, resa in modo intenso da Anna Caterina Antonacci. Le belle scene di Carmine Maringola e le luci di Cristian Zucaro disegnano ambienti dominati dalle grate tra le quali si muovono le religiose della comunità.

La regista, che ha voluto indagare sulla femminilità delle suore prima della scelta monastica, ha costruito la scena su una serie cornici con le donne dipinte da Jeacques-Louis David che diventano le porte delle celle del convento e infine la ghigliottina che metterà fine alle loro vite. “Il gesto delle Carmelitane – ha spiegato la regista – è più poetico che fanatico e la scelta di morire è legata a qualcosa di spirituale, anche se resta una decisione che fa paura”.

Suore battagliere, misticismo spinto e un’apoteosi del martirio che splende con luce ossessiva. Si può sacrificare la vita in nome della fede e affrontare la morte in preda alla gioia della condanna, come in certe scene di estasi pittoriche dei santi in cui il dolore e l’amore, rivolto a Dio, s’alimentano a vicenda.

Intorno al convento, Parigi è in subbuglio per i moti rivoluzionari e la caccia ai religiosi, che decreterà lo scioglimento forzato del Carmelo e, di fatto, porterà alla ghigliottina le sue adepte. Salendo al patibolo, tutte vanno incontro serenamente al loro destino, intonando il Salve Regina. Blanche, che era sfuggita alla cattura, raggiunge le consorelle e segue il loro destino. Così si riscatta.

Una chiosa di grande potenza espressiva: il finale dell’opera fa uscire dal teatro con la netta sensazione di aver assistito ad un evento tragico ma irripetibile.
L’essenza del dramma, il sacrificio delle suore carmelitane che decidono di morire per il loro ideale religioso, era ben presente ed anche efficacemente rappresentato. Ma alla realizzazione ha voluto aggiungere una altra ‘lettura’. Certamente il dramma che si consuma nei Dialogues è, in pratica, tutto al femminile; i ruoli maschili appaiono decisamente in secondo piano e, quindi, ha voluto centrare tutto sulle carmelitane e le loro storie personali di donne, che prima di prendere il velo avevano storie, amori, sensazioni e vite diverse e sulla loro forza interiore che le porta ad essere vere e proprie combattenti. Un’ottica che può essere senza dubbio condivisibile ma che porta avanti con alcune forzature nella narrazione scenica. Frequenti sono gli utilizzi di elementi simbolici dei quali spesso non si afferra il significato come la comparsa sul palcoscenico di alcune suore in bicicletta e l’utilizzo di oggetti particolari come una carrozzina da infermo sulla quale siede il Marchese de la Force e la figlia Blanche. Particolare attenzione la Dante ha prestato nel rendere l’ambiente oppressivo del convento inserendo però delle forzature al momento della cerimonia di iniziazione della novizia.