Tra Teorema e Le Baccanti: se l’oscenità pasoliniana non fosse altro che un modo per educarci alla tragedia greca?

Pier Paolo Pasolini è un regista magistrale e Teorema è probabilmente la sua opera più raffinata, un’allegoria che riunisce le sue preoccupazioni centrali con la politica, la sessualità, la società, l’arte e l’irrimediabile inautenticità della vita borghese. Terence Stamp, figura iconica dei liberati anni Sessanta, interpreta un enigmatico straniero, al tempo stesso angelico e demoniaco, che scende nella villa di un ricco industriale milanese e seduce l’intera famiglia, dalla domestica contadina al pater familias. La liberazione precede la demoralizzazione e si conclude con un urlo di disperazione. Le musiche sono di Mozart e Morricone, e ci sono riferimenti a Rimbaud, Tolstoj e Francis Bacon.

Con un gesto splendidamente liberale, il film vinse il premio della giuria cattolica alla Mostra del Cinema di Venezia del 1969, prima di finire sotto il fuoco persecutore dell’Osservatore Romano. I suoi autori si ritrovarono in tribunale con l’accusa di oscenità, ma ottennero l’assoluzione per il “valore artistico” del film. Qui, ingannevolmente a suo agio, c’è l’establishment borghese: la bella casa bianca dietro i cancelli chiusi in modo sicuro, il padre proprietario di una fabbrica, la madre elegante, il ragazzo e la ragazza adolescenti e la cameriera lealmente scortese. Le loro vite sono sconvolte da una sorta di apparizione; e se Terence Stamp in pantaloni e maglione non è esattamente la propria idea di figura cristica, ha in qualche modo acquisito i misteriosi segni del personaggio pasoliniano. Tutti gli abitanti della casa cadono sotto il suo incantesimo: sessuale, carismatico, totale. Li ama, uno per uno, e li lascia, per percorrere le loro strade scosse e solitarie verso l’eternità o la distruzione. La moglie rimorchia altri giovani; il figlio dipinge follemente; la figlia viene portata via tranquillamente in uno stato di trance catatonica; il padre si spoglia; la cameriera torna al suo villaggio, dove, sedendo giorno e notte su una panchina e mangiando solo ortiche, diventa una specie di santa locale. Niente di più calmo e lucido del modo in cui Pasolini dimostra il suo estremo e sconcertante teorema. Non c’è nessun sottobosco nel film, nessuna complessità stilistica da tagliare. Le scenografie sono perfettamente realistiche, ma spoglie e impersonali: un paio di sedie in un giardino, una stanza dalle pareti bianche, una nebbiosa riva italiana. E i membri della famiglia non si parlano quasi mai: i loro rapporti sono con l’estraneo e con la leggera notte dell’anima di Pasolini. Pasolini non moltiplica nulla senza necessità; ed è forse per questo che questo film molto aperto e profondamente enigmatico è così costantemente coinvolgente. Un altro enigma che si cela dietro l’opera di Pasolini è il mito di Dioniso. Il dio adorato dagli antichi greci, che ha avuto più successo nella cultura contemporanea, soprattutto nel secolo scorso, quando Nietzsche nella Nascita della tragedia creò la categoria estetica del dionisiaco. Dopo il Sessantotto ritroviamo Dioniso in diverse esperienze dell’immaginario contemporaneo, dal neopaganesimo alle teorie sull’identità sessuale, dalle performance del post-human alla sperimentazione teatrale. Quest’ultima si è misurata più volte con le “Baccanti”, l’unica tragedia greca in cui compare il dio del Teatro. A lungo trascurata per la sua sfuggente ambiguità, questa tragedia, scritta da un Euripide in esilio, riemerge proprio nel Novecento, non solo sulla scena, ma anche nelle variazioni che dei suoi temi offrono la letteratura e il cinema, da Thomas Mann fino appunto a Pasolini. Il regista riporta sullo schermo le grandi polarità dell’incontro con Dioniso – umano e animale, maschile e femminile, straniero e nativo, comico e tragico – analizzando le ragioni che stanno all’origine dell’enorme risonanza del dionisiaco nella cultura del nostro tempo. Le Baccanti è indubbiamente una delle più grandi tragedie della storia. In apparenza il suo messaggio è un monito a tutti gli uomini ad adorare sempre gli dei e a sottostarvi. Nell’ideale comune la tragedia ha una forte componente religiosa, ossia la riscoperta della spiritualità da parte di Euripide, che per tutta la vita era stato sempre considerato un un uomo senza dio. L’opera teatrale tuttavia rivela forti ambiguità, spingendo molti studiosi a credere che Le Baccanti sia in realtà un’invettiva contro la fede ed il culto.

Qui la riflessione sorge spontanea: se Pasolini invece di provocarci avesse solo voluto educarci alle lontane tragedie greche, assurgendo, in questo caso, ad Euripide? La sua opera risulterebbe altrettanto scabrosa? Una cosa è certa, così come la tragedia greca, Teorema (oltre ad altre grandi pellicole del regista) rimane fermo nel tempo. Un film cardine per la storia del nostro Paese che riesce a raccontare le emozioni più recondite e talvolta imbarazzanti, immergendosi in acque molto oscure senza mai abbandonare un senso di umanità.