Venezia78 – Madres Paralelas, di Pedro Almodóvar

Film d’apertura di quest’edizione, Almodóvar ritorna al lido dopo il Leone d’Oro alla carriera nel 2019 e The Human Voice con un classico drama dei suoi che racconta di due madri destinate ad incrociare le loro vite in corsia d’ospedale per un puro paradosso. Meno d’impatto rispetto agli ultimi film e leggermente schematico come se non riuscisse a prendere il tempo adatto ad elaborare gli snodi narrativi e soprattutto a farli maturare all’interno dei propri personaggi. Ana e Janis sono letteralmente delle donne sull’orlo di una crisi di nervi. Personaggi soli che attraversano emozioni su emozioni senza mai riuscirsi a prendere un momento di totale distacco e sospensione.

Siamo nella più totale fase d’introspezione del cinema d’Almodóvar, ma per fermarci a pensare e ad analizzare, questa volta non basta il ritratto o la sedia dove era seduto il Salvador Mallo interpretato da Banderas in Dolor y Gloria. Il regista decide di costruire l’analisi intorno alla ricerca storica delle proprie radici da parte di Janis, che in parallelo alla storia con Ana, Arturo e la sua bambina (che somiglia al nonno che non ha mai conosciuto), da anni prova a ritrovare il corpo scomparso del bisnonno. Ma è proprio la scelta di intrappolare le sue protagoniste, mentre si dimenano e si dibattono, in questa grossa tela poco visibile e anche troppo distaccata dalla narrazione principale, che lascia l’amaro in bocca. Sembra una sottotrama troppo a servizio e troppo distante per riuscire a creare la giusta amalgama con le vicende delle due protagoniste.

Madres Paralelas è un film molto più di testa, dove Almodóvar scompare come il corpo di Federico García Lorca per raccontare di contorno, come forse mai ha fatto nella sua carriera, il negazionismo fascista attraverso un’umanità ultradinamica che ha dimenticato il passato e che ora più che mai ha bisogno di dare una degna sepoltura ai propri cari. Perché solo con una degna sepoltura, dice Janis, la guerra (anche interiore) finalmente finisce.

Un cinema imperfetto, come la madri che racconta, distante dal cuore del regista, ma che chiede analisi del proprio passato e che riesce, sul finale, a donare la vista anche ad un vecchio teschio. Cui è finalmente possibile vedere la sua famiglia imperfetta raccolta intorno a lui. Una famiglia che ha finalmente riconosciuto il dolore e che adesso può di nuovo ripartire.