L’ultimo Uomo sulla Terra: la recensione

Un gioello del 1964, diretto da Sidney Salkov

Il dottor Robert Morgan non è un uomo sull’orlo del baratro. Una misteriosa tempesta di polvere portatrice di peste e trasportata dall’aria ha soffocato il mondo, uccidendo ogni uomo, donna e bambino e facendoli rinascere come vampiri annoiati, ottusi ed eternamente famelici. Eppure, in qualche modo, Morgan è rimasto immune, completamente illeso. Vive la sua vita come una macchina: di giorno si alza presto, ripulisce le strade dai ghoul comatosi ed emaciati e getta i loro corpi a malapena vivi in una fossa di catrame perennemente in fiamme, rintraccia i più forti addormentati nelle loro tane e conficca nei loro cuori i suoi speciali paletti.

Ma di notte, quando il sole scende sotto l’orizzonte, gli echi terrificanti dell’umanità escono strisciando dai loro nascondigli, inciampando verso il bungalow fortificato con aglio e specchi di Morgan, artigliando le finestre, urlando per la sua carne e il suo sangue. Tali condizioni potrebbero portare un uomo più debole alla pazzia, ma Morgan, pur sfuggendo spesso alla follia, sceglie di suonare i suoi dischi jazz a tutto volume, di versare scotch, di infilarsi a letto, di schiacciare un cuscino contro la testa e di aspettare, sempre, che arrivi il giorno in cui si alzerà e ricomincerà l’orribile ciclo. All’insaputa di Morgan, però, è osservato da qualcosa di diverso dai mostri, qualcosa che lo considera una minaccia ancora più grande degli stessi vampiri virali dagli occhi rossi.

Questa è la storia portata in scena da Sidney Salkow e Ubaldo Ragona in L’Ultimo Uomo Sulla Terra, film del 1964 con Vincent Price, il primo di tanti tentativi di adattare allo schermo la novella sui vampiri del 1954 I Am Legend di Richard Matheson, un autore di dark fantasy ancora oggi molto avvincente. Sebbene Matheson fosse sufficientemente insoddisfatto del film da cambiare i suoi crediti in “Logan Swanson”, L’Ultimo Uomo sulla Terra è molto più fedele al suo romanzo rispetto alle versioni cinematografiche più recenti, The Omega Man (1971) o il veicolo di Will Smith in Io sono leggenda (2007), che riescono entrambi a mancare completamente il punto. Price, nei panni dell’ultima persona “normale” in un mondo in cui una pestilenza ha trasformato tutti gli altri in creature vampiriche e zombie, è il protagonista assoluto del film, con la sua voce inconfondibile utilizzata in modo particolare nelle numerose voci fuori campo.

Ciò che rende L’Ultimo Uomo sulla Terra la visione cinematografica superiore delcupo e spaventoso testo di Matheson è il modo profondo in cui gestisce la ricerca di uno scopo oscuro da parte di Morgan/Neville. La sua è una vita spinta sull’orlo del baratro e oltre, eppure, come impone la sua natura eroica e ribelle, egli combatte; attraverso le sue notti solitarie e terrificanti, i suoi giorni intrisi di sangue e le sue albe agrodolci, Morgan rifiuta di soccombere alla sua situazione disperata, rifiuta persino di abbandonare il suo bungalow sgangherato. Diventa una sorta di lupo solitario, un giustiziere, poi una specie di profeta, infine un martire, ma è sempre un custode, il cui lavoro di una vita è sbarazzarsi dei mostri subumani che hanno infestato in modo insidioso quello che una volta era un mondo luminoso e bello e che hanno cannibalizzato in modo così crudele qualsiasi ricordo affettuoso che potesse assomigliare a una vita felice. E anche se vengono a raschiare le sue finestre come un orologio e anche se le femmine in decomposizione fanno il broncio e strisciano nel volgare tentativo di eccitarlo, lui accetta i vampiri, si adatta. Per citare Matheson è il “ritratto definitivo di un Joe di tutti i giorni che si confronta con l’arcano e ne esce in qualche modo trionfante”.