Venezia77 – Final Account, di Luke Holland

Fuori Concorso/ 90’/ USA

Tra i film non-fiction del fuori concorso è stata selezionata un’atipica produzione documentaristica che indaga, dalla prospettiva opposta, i crimini del terzo reich commessi contro l’umanità. Holland si avvale di un approccio innovativo, cercando di allontanarsi dai binari del semplice “Shoah Movie” con i fari puntati esclusivamente sulle vittime di quella sciagurata pagina di storia.

L’idea di schivare la procedura classica è interessante nelle intenzioni e peccaminosa nell’esecuzione cadendo, anche questa volta, esattamente nel problema della retorica spicciola che funzionerebbe per delle lezioni di semplice didattica scolastica.

Holland si avvale dell’intervista a un vasto numero di ex uomini e donne vissuti nel cuore della Germania Nazista, alcuni veri e propri soldati delle Waffen SS o della Wehrmacht, altri semplici cittadini trascinati dalla spirale omicida della dittatura hitleriana.

Vedendo e leggendo la scarsa letteratura e cinematografia su chi era dall’altra parte della barricata, Holland ha avuto l’occasione di esaltare dei contenuti inediti che al termine del film risultano ripetitivi a causa di vicende private che pur con le dovute e minime differenze, si equivalgono quasi del tutto.

Non stiamo parlando di un saggio storico, né di un narrazione che ha il compito di analizzare l’intero scenario dei crimini commessi da un pò tutte le nazioni coinvolte durante la guerra. Holland non si fa problemi a differenziare il male con il bene, ma perde del tutto la sfida nel far percepire l’ambivalenza di un documentario che oltre a schierarsi non supera il tetto di un prodotto che andrebbe bene per canali come Focus.

Il criterio linguistico adottato ha una matrice televisiva dichiarata; il montaggio si limita a una successione di interviste letteralmente incollate tra di loro, e la regia non si discosta da un gusto amatoriale verso i primi piani. Sembra appunto non ricercare un criterio cinematografico che possa portare a interrogarsi sull’accaduto, perchè tutte le risposte salgono a galla già dopo i primi minuti.

Fortunatamente nelle battute finali il film prova a riscattarsi con due scene in cui la sensazione di finzione precostituita viene finalmente meno. Un anziano SS che non colpevolizza l’operato di Hitler incitando all’antisemitismo non mortale, e nel violento scontro tra un ragazzo convinto che i tedeschi non dovrebbero vergognarsi del loro passato e un anziano, ex nazista, sostenitore del contrario.

Sono questi gli unici momenti in cui la piattezza delle risposte viene sostituita da attimi dove l’inaspettato irrompe sulla scena, valorizzando la coraggiosa scelta di Holland, ma troppo poco per un film di 90 minuti.

(Paolo Birreci)