Atlanta, di Donald Glover (2018) FX Seconda stagione

CRISI DI UNA FORMA CLASSICA, FRAMMENTAZIONE STRUTTURALE E PROBLEMATICHE RAZZIALI

La sequenza finale nell’ultimo episodio della prima stagione, vede Earn trovare abitazione in un garage dopo aver, senza alcuna connessione logica con l’episodio precedente, cercato il proprio cappotto per tutti i 25 minuti circa che compongono il season final. In tutto questo, l’ossatura centrale dell’episodio si muove su una strada incomprensibile. Infatti, le vite dei tre inquieti personaggi della vicenda, Paper Boi, Darius ed Earn, vengono storditi, così come lo spettatore inerme, da eventi inspiegabilmente non controllabili, tra trafficanti di droga e agguati della polizia. Solo negli ultimissimi minuti, l’episodio trova una liberazione e una narrazione orizzontale, non rintracciabile nella quasi totalità della stagione.
Possiamo notare come, lo sviluppo orizzontale di “Atlanta”, nonché gli obiettivi di sfondamento nel mondo musicale del gruppo, sono ravvisabili quasi esclusivamente nei due season final, fino ad ora disponibili. Nella 2×11 della serie ideata da Glover, per necessità scolastiche ed economiche, il gruppo si sposta fuori da Atlanta. Stesso discorso durante la 1×10, dove Earn incassa una percentuale dei guadagni, scaturiti dal tormentone musicale di Paper Boi.

Durante il finale season, Earn, Alfred e Darius decidono di spostarsi verso l’Europa.

Il trascendente quotidiano, già accennato da Gabriele Plutino nella sistematica analisi della prima stagione, si scaglia nella Robbin Season, con un controllo incredibilmente maggiore rispetto ai dieci episodi precedenti. A tratti miracoloso (specialmente negli episodi 2×04, 2×05, 2×06, 2,07) nel mostrare un disordine scomposto nella scacchiera tematica e formale messa in gioco dal prodotto FOX. L’incontestualizzazione della scena e la variabilità dei codici, permette di creare infiltrazioni di modalità, legati a una moltitudine sovrumana di generi e concetti, che giocano di rimessa e ridiscussione perenne. Coerentemente con gli elementi già citati, gli stessi personaggi vengono lavorati, dalla sapiente mano di Glover, per straniamento e crisi d’identità (caratterizzazioni su cui si basa il contemporaneo), già fortemente accennati negli episodi precedenti, ma adesso più evoluti. I contatti con il contemporaneo non finiscono qui. La creazione di Glover, recentemente rinnovata per una terza e quarta stagione, è rigorosamente incanalata nelle questioni socioculturali della comunità afroamericana. Cruciale è in questo l’episodio “FUBU” (2×10), un lungo flashback su Earn che capta le tensioni razziali provenienti già da un contesto scolastico, a causa della marca falsificata di una maglietta. Atlanta si inserisce completamente in quello spazio audiovisivo tanto in voga negli ultimi anni, chiamato “New Black Cinema” e che vede importanti esponenti del calibro di: Jordan Peele, Barry Jenkins, Spike Lee. O lo stesso Donald Glover con il videoclip “This is America”.

FUBU è l’unico episodio flashback, sul passato di Earn, presente nelle due stagioni di Atlanta.

UN LINGUAGGIO INDECIFRABILE

Il “fantasma” della città di Atlanta, misteriosamente attraente per trascendere qualcosa di astratto, con i suoni cittadini propedeutici a lavorare su un fuori campo ansiogeno e incomprensibile, sfocia in una tensione, ancora una volta non giustificabile e non portatrice di grandi eventi. Nella Robbin Season, l’idea teorica di un “Twin Peaks con i rapper” è pienamente compiuta. Se il viaggio nei meandri della “Black America”, tanto spinta nella prima stagione, continua a vivere, seppur con minore accento. In questo secondo blocco di episodi, si preferisce continuare ad astrarre i personaggi in maniera “lostiana”, dedicando singoli episodi a singoli personaggi, ragionando quindi sull’IO interiore e su fantasmi apocalittici. Le simmetrie con il cineasta di “Strade Perdute” sono importanti per definire le nuove traiettorie neo-seriali. Si compongono, tra le due opere, delle corrispondenze nel far collassare la struttura temporale dello scheletro narrativo. La verticalità e l’orizzontalità tipiche dello story-telling seriale si mescolano a vicenda, permettendo un connubio tra linearità, maggiormente accentuata nella prima stagione, o narrazione astratta e autoconclusiva. Una sospensione del tempo uniforme a quel senso di precarietà esistenziale e atmosfera di negatività presente in ogni personaggio. Vedasi, a tal proposito, l’episodio “Woods”, in cui Paper Boi viene non solo decostruito della sua funzione da star, sia nell’estetica dell’abito, troppo vicino ad abbigliamenti indossati dalla maggioranza della popolazione e successivamente preso di mira e picchiato da ragazzini a causa di una foto, ma si trova soprattutto a dover sfidare i propri fantasmi, vagando in un bosco dalla dimensione horror e incontrando un uomo anziano, non classificabile come persona reale, dalla vena sarcastica. Il disorientamento di Paper Boi avverte dei sintomi lynchani, allacciandosi alla confusione mentale costante di Cooper durante la terza stagione di “Twin Peaks”. Nella 2×06, o più comunemente chiamata “Teddy Perkins”, palesemente imbevuta di Hitchcock e Siodmak, è l’elasticità formale, attraverso un gioco di campi meno virtuosi e ricercati rispetto agli standard della serie e di un montaggio poco dinamico, a richiamare un lavoro formale classicheggiante, non solo registico, ma anche scenico. Darius, difatti, entra in un castello per recuperare un pianoforte (torna la casualità degli eventi non ordinari e non connessi tra di loro già affrontata prima) e fa conoscenza con un pallido uomo, Teddy Perkins, criptico e psicologicamente instabile, arrivando a modificare l’impianto sonoro della propria voce, in un momento dialogico con Darius particolarmente agitato. A questo è innegabile notare un lavoro grottesco e inquietante, di un universo già di suo non comune. Come esempio, viene in mente il primissimo episodio di questa stagione, quando Earl viene a conoscenza dell’alligatore di suo Zio. Teddy, personaggio ambiguo e conoscitore profondo dell’arte musicale, discute con Darius sull’essere infantile del genere Rap, parlando, quindi, di uno dei mausolei della cultura americana.

L’inquietante Teddy Perkins ha suscitato innumerevoli teorie sulla sua identità, alcuni ipotizzano che si trattasse di Michael Jackson, idea affascinante e in linea con il pensiero pop della serie Tv.

MOVIMENTI ICONOGRAFICI

L’iconografia della star, viene reinterpretata (Paper Boi), ma anche definita irraggiungibile. In “Champagne papi” (2×07), si disperde la voce di una festa in una villa presenziata dall’artista Drake, quest’ultimo, però, viene lasciato fisicamente ai margini del fuori campo, per poi comparire, sul finale, sottoforma di sagoma di cartone. Glover riflette sulle conseguenze dell’artista oggi, fisicamente non mostrabile e smaterializzato, in questo caso con un pezzo di cartone. Atlanta spazia, quindi, tra le icone classiche e contemporanee della storia americana (Steve Mcqueen, Justin Bieber, Drake), mettendole a confronto tra di esse.

Van, la fidanzata di Earn, insieme ad un gruppo di amiche, rimane sorpresa capendo che nel party non è presente il famoso artista Drake.

(Paolo Birreci)