Atlanta : Stagione 1, di Donald Glover (2016)

FX e il modello comico-autoriale, l’indipendenza della sit-com

Era il 2010 quando FX mandò in onda la prima stagione di Louie (Louis CK, 2010), la sit-com che cambiò in modo significativo il paesaggio della comedy televisiva.

Louie fu in grado di coniugare la necessità autobiografica del suo autore con le incursioni del medium cabarettistico (la stand-up comedy), lavorando anche (e specialmente) su un piano brillantemente cross-mediale.
Per la prima volta una sit-com fu costruita sulle spalle di uno showrunner contraddistinto (per accordi) da una totale indipendenza inventiva, e quindi, affidata in termini di responsabilità e successo nelle mani del proprio creatore.
Questa fu di fatto la nascita di un nuovo modello di comedy televisiva, che giunta ad un punto cruciale del proprio percorso (ricordiamo opere cardine come Seinfield, Arrested Developement, I Simpson, F.R.I.E.N.D.S, Scrubs, The Big Bang Theory..) sentiva la necessità di replicarsi in altre forme (e quindi di ibridarsi con altri medium).
Sotto tale punto di vista, FX si è posto immediatamente come il crogiolo più stimolante e avanguardistico (nonostante reti televisive come Comedy Central o piattaforme come Netflix ed Amazon stiano facendo un lavoro di grande interesse).

Commedie complesse come Anger Management, Wilfred, Better Things, Running Wilde o Saint George si stagliano all’interno del suo ecosistema cercando di leggere questa tendenza con la maggior puntualità possibile, tuttavia l’unico prodotto ad aver centrato in maniera brillante il discorso successivo alla post-serialità, ereditando i lasciti di Louie, è sicuramente Atlanta, comedy creata nel 2016 dal cantante, comico ed attore statunitense Donald Glover che trascina il discorso impostato da Louis CK alle sue estreme conseguenze, raggiungendo forse uno dei punti più alti nell’attuale panorama neo-seriale.

Atlanta : percorsi cross-mediali e trans-mediali

Non è un segreto che Atlanta sia stata fortemente influenzata dalla dimensione di provenienza di Glover, quella del Rap (non dimentichiamo però anche il suo ruolo comico in Community e la sua breve esperienza nella stand-up comedy).
Childish Gambino (questo il nome d’arte di Glover) costruisce un’impalcatura estremamente solida, atta a contenere le implicazioni della sua formazione culturale, dove il rap e l’integrazione divengono allocuzioni che percorrono strade parallele.

“The thesis with this show is kind of to show people how it feels to be black” – Donald Glover

Se quindi Louie gravita morbosamente intorno all’esigenza di allargare lo sguardo sui dilemmi e sulle incoerenze dell’uomo americano contemporaneo, Atlanta si interroga su cosa significhi essere neri all’interno dell’attuale società statunitense.
Glover, proprio come CK, non è più un semplice showrunner, ma un vero e proprio autore che scrive, dirige e monta ogni episodio, implementando nell’economia del racconto gran parte della sua esperienza artistica, dal videoclip pubblicitario al talk show, dalla stand-up comedy al lavoro linguistico tramite i social media.

Due scene del videoclip musicale "This is America", singolo pubblicato da Gambino nel 2018 e diretto dal regista giapponese Hiro Murai, frequente collaboratore di Glover
La presenza delle armi da fuoco è evidente tanto nel videoclip sopra citato quanto nella serie. Il modo in cui Glover veicola il proprio messaggio e pone in comunicazione i diversi medium è estremamente raffinato.

Il lavoro di diversificazione formale operato da Glover risulta brillante, poiché sfrutta appieno tutte le potenzialità offerte dai diversi media differenziandoli e adattandoli al contenitore televisivo, eliminando, de facto, le barriere esistenti fra le varie tipologie di mezzi comunicativi.

Nel videoclip musicale “This is America” Gambino denuncia i pericoli e la violenza che circondano la black community negli Stati Uniti (l’amore malato per le armi, i fatti di cronaca nera), ma mostra anche una forma di autocritica verso quei modelli consumistici che annebbiano la vista di chi dovrebbe avere valori più importanti, sopratutto gli afroamericani.
Tali tematiche possono essere ritrovate spesso all’interno di Atlanta : all’inizio della prima puntata Paper Boi spara per sbaglio ad un suo hater uccidendolo, nella terza puntata il capo dei Migos uccide un uomo che aveva tentato di fregarlo, nell’ultima puntata invece l’autista di Earn, Darius e Paper Boi viene ucciso a colpi di pistola dalla polizia, dopo che aveva tentato di scampare all’arresto.

Tutto ciò denota non solo l’efficacia e la raffinatezza di Gambino nel suo approccio al meccanismo cross-mediale, ma ci permette anche di comprendere l’importanza dell’ibridazione linguistica, punto focale della neo-serialità e modello fondamentale per l’intensificazione ed il veicolamento dei vari messaggi.

Cellulari di ultima generazione, vestiti eleganti, ristoranti costosi, Glover non si fa problemi a criticare il modello consumistico emerso nella società nera, filtrando le sensazioni e le dinamiche della serie attraverso lo sguardo di Earn




Nel suo fondamentale Cultura Convergente Henry Jenkins dice :

““la trans-medialità è un processo nel quale gli elementi integrati di una narrazione vengono sistematicamente separati e diffusi tramite diversi canali di comunicazione, con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Idealmente, ogni media dà un contributo unico allo sviluppo della storia“.

Ed in fondo è proprio questo ciò che fa Glover, spinto dall’urgenza della riappropriazione culturale imbastisce una narrativa che si staglia su più piani linguistici, utilizzando come portavoce proprio Atlanta, la quale cambia radicalmente il modo di intendere la black comedy.

Non è più infatti un discorso legato all’autorappresentazione, ma anzi, si tratta di una serie concepita con un intento di auto-critica, che vuole mostrare all’uomo bianco la cultura e la vita afroamericana, con tutte le sue contraddizioni certo, ma finalmente caratterizzata da una sua centralità.
La grande importanza del modello atlantiano può essere poi dimostrata dal fatto che negli anni successivi alla sua nascita alcuni autori afroamericani ne hanno già ricalcato il percorso, cercando di far riguadagnare importanza alla black culture. Il riferimento va a registi come Jordan Peele (che utilizza il genere horror per ri-definire i suoi rapporti con la cultura bianca) Lena Waithe o Ryan Coogler (che utilizza, insieme alla Disney, il cinecomics per riappropriarsi della propria centralità culturale) esponenti assai recenti della contro-narrativa gloveriana.

Scappa - Get Out, di Jordan Peele (2017)
Black Panther, di Ryan Coogler (2018)

Atlanta e Twin Peaks

È difficile collocare Atlanta all’interno di un genere preciso, sotto questo punto di vista non è sbagliato considerare il lavoro di Gambino simile a quello fatto da David Lynch con Twin Peaks.

Se nel capolavoro degli anni 90′ si utilizzava la soap opera come base per srotolare un giallo a puntate, che avesse anche implicazioni horror, comedy, drammatiche e sovrannaturali, in Atlanta si parte dalla sit-com per compiere sostanzialmente lo stesso percorso, ma con una lettura puntuale e brillante del procedimento di ibridazione e adattamento tra i vari media.

Persone normali si trovano improvvisamente in situazioni fuori dall’ordinario (i parcheggiatori muniti di spada laser), momenti che mutano dal banale al surreale (il litigio tra Earn e la cameriera), dialoghi al limite dell’assurdo (nella prima puntata Darius pronuncia strane parole mentre sta fissando un cane randagio sul bordo della strada).

Nonostante le varie problematiche i personaggi della serie riescono sempre ad adattarsi ai vari contesti (proprio come Glover adatta al medium televisivo gli altri linguaggi) continuando i propri percorsi di vita ed espletando gli insegnamenti della cultura rap : liberarsi dalle difficoltà di tutti i giorni e tramutare il malessere interiore in arte.

“I just always wanted to make Twin Peaks with rappers.”Donald Glover

Atlanta fa proprio questo, si libera dei muri divisori che hanno sempre separato i vari medium e limitato le potenzialità dei linguaggi per acquisire una totale autonomia di azione e trasformarsi in un prodotto che può definirsi “artistico” a 360 gradi.

L’estetica funzionale

Donald Glover sceglie, ragionando sui concetti di corrispondenza individuale, ecosistema e uguaglianza, di trascendere (in buona parte almeno) la consequenzialità e la persistenza del racconto, vertendo su una narrazione più verticale che orizzontale, prendendo in esame la composizione “antologica” tipica della sit-com e ridefinendone i confini, oltre ad assottigliare, attraverso un’attenta riflessione su messa in scena e composizione, la linea di separazione tra dramma e commedia.

Le frequenti panoramiche aeree presenti nella serie si occupano di collocare la diegesi al di fuori del classico stile del genere.
Nonostante la durata delle puntate sia a tutti gli effetti quella di una sit-com, il lavoro propedeutico sugli spazi (che non sono più chiusi, ma aperti) colloca la serie di Gambino all'interno di un contesto ben più amplio.

Viene quasi teorizzata una possibile natura “fantasmatica” dell’arco narrativo, che pur partendo da un presupposto ben definito (un omicidio) finisce con l’essere abbandonato a discapito di un reale interesse per lo svolgimento situazionale.
Così la struttura narrativa della serie diviene lo specchio della struttura sociale statunitense, caratterizzata da anomalie non cicatrizzabili ed avvinghiata a continui percorsi extra – ordinari, dove (stilisticamente parlando) lo stereotipo viene utilizzato da Glover per dilatare l’interiorità della sintassi.
In Atlanta, i personaggi sono spettatori delle proprie vite; Attraverso un processo di decostruzione la loro funzione viene estremizzata, trasformandoli in veri e propri simboli che, di pari passo con lo svolgimento delle vicende, vengono estratti da situazioni tradizionali per poi essere ri-contestualizzati in impianti differenti da quelli di partenza, donando al (voluto) processo di astrazione originalità ed efficacia.

Atlanta è quindi un prodotto che si interessa (visibilmente) a raccontare le dinamiche sociali di una città prendendo come punto di riferimento un contesto molto più ampio, attraverso un lavoro propedeutico e di conglobamento sul medium musicale e sulla cross-medialità; Si vedano al tal proposito l’iconica e sperimentale B.A.N, 1×7 e la sequenza interdialogica della 1×4, con il Zoom Out che fa da veicolo comunicatore tra lo smartphone ed il personaggio di Alfred (che è anche lo spettatore) in un sunto importantissimo (e in termini estetici e in termini di linguaggio) che ha quasi il sentore di una dichiarazione di poetica (e conoscendo il percorso di Glover, anche precedente al medium televisivo, non faticherei a confermarlo).

B.A.N, la settima puntata della prima stagione, è strutturata come un talk show di 30 minuti. La sua impostazione è frammentata e sperimentale, l'apoteosi del discorso neo-seriale di Glover.

La prima stagione di Atlanta rappresenta quindi un testo dove forma e contenuto lavorano di pari passo, tra realismo e surrealismo, politicamente scorretto, autocritica, linguaggi e profonda irriverenza; È la manifestazione totale del black power, che con Glover scova nel medium televisivo terreni non ancora battuti.