Femmina Folle – John M. Stahl

Una donna possessiva in preda a nevrosi e paure amorose, un uomo incapace di gestire una situazione degenerativa, una ricca famiglia con un passato oscuro che si riaffaccia prepotentemente.

Queste sono le premesse di un severo e rigoroso melodramma dal tono imperioso, di difficile fruibilità nel contesto contemporaneo, e regolato da segni degni di un romanticismo ottocentesco. L’anno di uscita del film, il 1945, è un anno seminale per il secolo breve, la guerra è appena finita e la popolazione ha bisogno di un intrattenimento positivo e allegro, che racconti storie vivaci in cui è possibile identificarsi in un’industria hollywoodiana assuefatta dal restringente codice hays, appoggiato dalla tecnologia technicolor principalmente usufruita dagli sfavillanti musical del periodo d’oro di Hollywood.

Femmina Folle è un involucro che contiene tutte le caratteristiche sopracitate trapiantate in una narrazione che lavora sui binari pre-impostati di una storia d’amore classica sabotata dai topos peculiari del noir, proprio come molto cinema classico statunitense ha imparato a definirsi con il passare dei decenni: commedie romantiche dal retrogusto velenoso o, come in questo specifico caso, felici storie d’amore che si trasformano in irrecuperabili drammi umani.

Gene Tierney, attrice dal passato privato tormentato, è stata una delle principali femme fatale dall’accezione più pura in quel di Hollywood: già protagonista per Ernst Lubitsch in “Il cielo può attendere” e musa nell’inquietante capolavoro di Otto Preminger “Vertigine”, qui venne nominata per il premio Oscar poi soffiato da un’altra donna simbolo del cinema americano, Joan Crawford.

La sua controversa perfomance, perseguitata da una natura ambivalente che si sposta da una razionalità acuta a una lucida follia compulsiva, è il perno di tutto l’arco narrativo della pellicola. È lei l’assoluta artefice della progressione drammaturgica, una donna pronta a tutto pur di possedere mentalmente il suo fidanzato e poi consorte, capace di fingere una disgrazia in lago, uccidendo consapevolmente il fratello disabile del marito, dopo averlo lasciato annegare e, successivamente alla scoperta di essere incinta, lasciandosi cadere da una scalinata e togliendo di mezzo il bambino che gli avrebbe potuto sottrarre tempo destinato al suo moroso. Tutto questo per un fortissimo senso di gelosia che la porterà a un premeditato suicidio visto il carattere più respingente e consapevole del marito, sempre più cosciente degli atti immorali della moglie.

Importante, infine, dedicare spazio di riflessione alla scelta del technicolor, presenza di gran rilievo che stratifica, stranamente vista la sua natura esteticamente spensierata, la portata tragica degli eventi. I colori pastello, le inquadrature pittoriche come acquarelli dipinti a mano, i colori accesi e le scenografiche fiabesche, concepiscono un mantello che nasconde violenze e probabili soprusi passati da parte del padre nei confronti della figlia. Un modello narrativo che diventerà una costante in molti autori statunitensi, citando le opere di Robert Siodmak o i noir del periodo americano di Fritz Lang come esempi maestri.

Femmina Folle non è forse un film apprezzabile dalle tempistiche frenetiche del cinema contemporaneo, ma rimane una dimostrazione storica di un modo di fare cinema impossibile da replicare oggi.

(Paolo Birreci)