Mad Men, created by Matthew Weiner(2007-2015)

All’interno di quello sconfinato universo audiovisivo che è il paesaggio seriale, fatto di ecosistemi egemoni e biomi che emergono e sprofondano, si sono delineati nel tempo dei testi imprescindibili. Era il 19 luglio 2007 quando sulle televisioni statunitensi venne trasmesso “Smoke gets in your eyes”, il principio di un’opera che negli anni avrebbe raggiunto proprio quello status di testo fondamentale: Mad Men.

MAD MEN.
“Termine coniato alla fine degli anni ’50 per definire i grandi pubblicitari di Madison Avenue.”

Il sottile velo del mito

La creatura di Matthew Weiner, che transita tra le pieghe di un terreno dissestato–l’America dei tumultuosi anni ‘60, adotta un punto di vista nuovo, quello degli agenti pubblicitari. Uno sguardo cinico e disincantato, che fa perno sui malumori e s’insinua nelle fratture del contesto storico, risulta essere il vettore perfetto per tracciare una mappa culturale dell’epoca, un dipinto storico-antropologico dalla crescente densità di elementi. Inserendosi in questa prospettiva, la camera sceglie dunque di infrangere quel vetro spesso che rendeva i grattacieli un paesaggio impalpabile e luccicante, di fornire il “dietro le quinte” di quella pagina mitica e scoprire tutte quelle dinamiche fondanti della logica pubblicitaria.

Mad Men, attraverso questa soluzione narrativa, mette in piedi un processo di disvelamento, o meglio, di demistificazione: la Sterling Cooper, regolata da logiche di calcolo e di mercato, assume ben presto le sembianze di una fabbrica di sogni da cui però è il sogno stesso a uscirne indebolito, crepato, a causa di un “processo svelato” che ne corrompe la natura. Si potrebbe quasi dire che la Sterling Cooper, posta tra quegli uffici nascosti tra le nuvole (che guardano la città dall’alto verso il basso), diventi un luogo virtuale, quasi metafisico, dove dei demiurghi(-pubblicitari) plasmano la materia(-immaginario) per trasformarla in mondo(sogno, mito). La serie disegna così una cartografia dei sedimenti mitologici dell’immaginario collettivo, attentando parallelamente la loro percezione tramite una dinamica decostruente, demistificante.

“Vai. Corri da lui, come nei film”

-Donald Draper

Il velo è squarciato e quello che rimane è una facciata di cartone dove, come nei meravigliosi titoli di testa, tutto si scioglie e crolla mentre l’uomo, una sagoma nera priva d’identità, precipita senza posa tra le pubblicità di famiglie ridenti.

Pressioni sul microcosmo

La Storia e la crisi della mitologia, su tutte quella del fantomatico sogno americano, diventano un fardello che graverà inevitabilmente su tutto il circuito di personaggi principali, in particolare sulla sfuggente figura di Donald Draper, fulcro narrativo indiscusso.

È l’epoca del capitalismo e dell’arrivismo, delle multinazionali e della modernizzazione, e mentre il resto del mondo tenta di colmare il gap con l’America–terra mitica e modello da imitare–questa s’inoltra in un periodo di crisi, tra vite spezzate e orizzonti infranti. Sebbene la Storia sia appunto visceralmente implicata, viene rilegata per lo più al margine del microcosmo di Mad Men, nel fuoricampo. Questa scelta conferisce alle poche incursioni storiche messe in campo una potenza nefasta: la morte (di Kennedy, di Martin Luther King, di Marilyn Monroe, …) e la tragedia, visualizzate attraverso i nuovi apparati televisivi, sembrano sprigionare un cortocircuito nella narrazione, che subisce come una battuta d’arresto; i personaggi, le loro storyline, l’America stessa, è come se entrassero in una sorta di stasi narrativa, nella quale sussistono e subiscono, inerti sul pavimento di fronte a uno schermo luminoso. Con l’esaurimento di queste vicende, che si dissipano nelle pieghe del tempo, quel fuoricampo–inizialmente di contesto, inconsistente–diventa palpabile e onnipresente, un macigno invisibile che grava sulla vita dei personaggi.
Considerando che il personaggio cardine è Donald Draper e che, sovente, lo sguardo della camera diventa sguardo modalizzato da Don, nel corso della serie ci imbatteremo anche in visioni e allucinazioni, esplosioni di una coscienza disperata.

Don osserva il suo stesso cadavere in una posizione di wilderiana memoria

Il microcosmo abitato da questi soggetti, che sia nella degradazione del sesso, nella fuga o sul fondo di un Old Fashioned, sarà costantemente impegnato in una lotta per colmare il vuoto, per non cadere nella voragine generata dallo scisma tra mito e realtà.

Lo schema libero

Oltre all’enorme portata dell’operazione finora descritta, Mad Men s’inserisce anche in quella tendenza decostruttrice già messa in atto ne “The Sopranos” (Matthew Weiner, 1999-2007) : una dinamica di dissoluzione delle impostazioni narrative preesistenti. In poche parole, la struttura dei singoli episodi (ma anche in un’ottica d’insieme) rifiuta tutte quelle logiche di racconto sedimentate nella serialità televisiva: il cliffhanger, il conflitto e la sua risoluzione climatica, il “dosaggio” narrativo delle storyline, …; Mad Men, per asserzione dello stesso Matthew Weiner(“I don’t wanna have a formula”), si svincola da tutti questi meccanismi e si struttura su uno “schema libero”, fatto di stasi, di personaggi scomparsi nel nulla che ritornano dopo stagioni, di estinzioni improvvise e anticlimatiche di grossi conflitti, di prolessi e analessi, di salti temporali tra le falde del passato e di viaggi quasi wendersiani.  In tutto questo è sorprendente la naturalezza e la versatilità, ennesima prova dello spessore e della raffinatezza della scrittura, tra le migliori della storia televisiva(e non).

Roger Sterling e Peggy Olson bevono tra le rovine dei ricordi

Ricorrenze formali

Se a livello strettamente narrativo Mad Men prende le distanze dal tipico e sfugge a una limitazione, tuttavia a livello formale si delineano delle dinamiche reiterate e identificabili. È fondamentale comprendere queste ricorrenze formali in una serie come Mad Men, costruita sul non detto e scevra da qualsivoglia didascalismo, perché è proprio su queste che la serie riesce a costruire frammenti di senso. La tipica impostazione classica, establishing shot-campo-controcampo, subisce interferenze di permanenza: la camera si sofferma ben oltre il tempo di lettura, si fa sovrabbondante e ciò carica di significato le sequenze, che assumono senso nelle espressioni, negli sguardi, nei gesti, nelle scelte compositive del quadro, nei simboli, … costruendo così un impero di segni e di suggestioni. In direzione analoga lavorano i movimenti di macchina, nello specifico le carrellate: quelle in avanti, che si spostano dal microcosmo al soggetto, dal mondo all’io, osservano le ripercussioni contestuali, e quelle all’indietro, che fanno il percorso inverso, incastonano spesso il soggetto all’interno di stretti confini diegetici; e questi, che siano la porta di un ufficio o l’arcata di una sala da pranzo, tendono a riportare una pressione sociale che rinchiude i personaggi.

In questo senso, l’aspetto della composizione del quadro assume tratti estremamente rilevanti; si potrebbe quasi dire che in un contesto di questo tipo–di mutamenti marcati e repentini–l’inquadratura diventi luogo di transizioni e che nello spazio s’iscriva il significato. Non è un caso che la scelta compositiva rifletta delle gerarchie, come non è un caso che in una serie che lavora sui vuoti come Mad Men, le sequenze (e spesso anche gli episodi stessi) culminino con personaggi a margine, in campi medi o totali che si mostrano in tutta la loro manchevolezza, mutilati.

Dialettiche interne

Un’ultima e ulteriore prova di eleganza nella messa in scena di Mad Men è l’incredibile capacità di mettere in correlazione segmenti narrativi di storyline diverse, una convergenza tematica e/o di significato. Questo lavoro effettuato in parallelo, ricorrente per tutto l’arco della serie, è un’operazione che non si limita a un solo canale ma che si muove tra scrittura e regia, una dialettica su più livelli. Le porzioni narrative, infatti, sembrano intersecarsi (oltre che per affinità tematiche) come un campo che innesca un controcampo, tra sguardi, gesti e porte: un vero e proprio dialogo, costruito tra i raccordi, che riesce ad essere verbale, visivo e semantico. Esemplificando, in un episodio [S03E08] Pete, che ha tradito la moglie, scoppia in un pianto colpevole; quando, qualche istante dopo, alza gli occhi lucidi, è come se guardasse Betty entrare in scena(solo che il luogo e, probabilmente, anche il tempo, sono diversi), la stessa Betty che poco prima aveva baciato un altro uomo alle spalle di Don: un “falso controcampo” innescato dallo sguardo, un grido d’aiuto che nessuno(se non lo spettatore) potrà cogliere.