Piccole Donne (Greta Gerwig, 2019)

Greta Gerwig, dopo apprezzati ruoli da attrice e sceneggiatrice nei film del marito Noah Baumbach, esordisce alla regia nel 2017 con “Lady Bird”, film indie di formazione, tanto acclamato quanto sopravvalutato, che trattava in maniera semplice e ammiccante l’adolescenza della protagonista, interpretata dall’astro nascente (e ormai affermato) Saoirse Ronan.

Nel 2019, la Gerwig si riunisce con l’attrice 25enne per l’ennesimo adattamento del romanzo “Piccole Donne”, classico della letteratura americana pubblicato nel 1868 e scritto da Louisa May Alcott. La Ronan interpreta la protagonista, Jo March, che con le tre sorelle deve far fronte a problemi economici, sociali e sentimentali negli Stati Uniti post Guerra di Secessione.

Fin da subito appare chiaro che l’attrice irlandese interpreta la regista stessa: la Gerwig prosegue il discorso adolescenziale presente in “Lady Bird”, realizzando un adattamento del romanzo condito con elementi autobiografici. L’autrice compie anche un’operazione intelligente: affronta l’opera letteraria da lettrice e ammiratrice e, identificandosi appunto con la protagonista, realizza una rivisitazione personale e fresca delle tematiche affrontate dalla Alcott.

La Gerwig è abile nel trattare i temi del neo-femminismo, della libertà di scelta, del matrimonio e della scrittura in maniera equilibrata e appassionante, esaustiva e diretta. Esemplare inoltre la gestione dei personaggi principali: le quattro sorelle March sono descritte alla perfezione, dalla determinata e combattiva Jo all’irresistibile e frizzante Amy, dalla dolce Beth alla raffinata Meg.

E’ proprio nella rappresentazione delle quattro sorelle, ovvero il fulcro della storia, che il film eccelle: le performance attoriali delle quattro convincono – e nei casi di Saoirse Ronan e Florence Pugh incantano – la chimica tra loro è impeccabile, e la potenza nello sguardo che la regista mette in scena, l’amore con cui guarda le protagoniste, sono meravigliosi e danno una marcia in più all’opera.

Le doti registiche della Gerwig sono visibili ad ogni scena: una regia pulita ed elegante, mai ostentante o estetizzante, permette allo spettatore di ammirare quadri caratterizzati da una bellissima eleganza, merito anche della splendida fotografia e delle impeccabili scenografie e costumi, che ricostruiscono benissimo l’epoca in cui “Piccole Donne” si ambienta.

Il film è raccontato attraverso flashback e salti temporali, permettendo così all’Autrice di sottolineare la memoria e il ricordo, argomenti centrali nel film. Il montaggio a scacchiera evidenzia la natura sfuggente e inafferrabile della vita: la giovinezza delle protagoniste è raccontata in maniera solare e viva, e in questo la figura di Laura Dern – bravissima – è fondamentale, quasi come un carburante che tiene in vita la fiamma della ribellione e della gioia delle sorelle March.

La struggente e atmosferica musica di Desplat è fin troppo presente, i personaggi secondari – specialmente Louis Garrel  e Maryl Streep – non sempre convincono per via del poco spazio concesso, e degli intoppi nel terzo atto – come rallentamenti improvvisi di ritmo e stranianti allungamenti nella struttura narrativa – non permettono a “Piccole Donne” di elevarsi allo status di Capolavoro, ma il film ha tutte le potenzialità per diventare un Classico del Cinema americano degli anni 2000, ed essere considerato come un cult in futuro, il tutto a giusta ragione.

La Gewig stupisce e convince in pieno, realizzano un’opera che adatta ottimamente il passato alla modernità, parlando di valori universali in maniera coinvolgente e personale, mettendo in campo una tecnica validissima, attori e personaggi di spessore, una sceneggiatura ricca e intelligente e delle sequenze memorabili per presa sullo spettatore e conseguente commozione scaturita.