Scary stories to tell in the dark, di André Ovredal

Il regista norvegese in The Autopsy of Jane Doe (2016) aveva dimostrato da un lato, nell’ottimo primo atto, una buona mano nel muoversi tra gli spazi ristretti dell’obitorio e una certa consapevolezza nella gestione della tensione, dall’altro poca convinzione e, forse, poca maturità nella costruzione del secondo atto, che finiva per riallinearsi con la maggior parte dei prodotti di genere, tra cliché e banalità.
André Ovredal, tre anni dopo quella che potremmo definire un’occasione sprecata, torna dietro la macchina da presa con una screen story firmata Guillermo Del Toro, che figura anche in veste di produttore.

Sin dai primi minuti vengono a materializzarsi una serie di elementi che ci permettono di incastonare l’opera all’interno di quello che ormai è un vero e proprio filone: il testo di formazione post-Stranger Things che dilaga senza posa nell’audiovisivo, le cui radici affondano nel celeberrimo testo di King, IT.
Ecco dunque che il film rigurgita in fretta tutti i caratteri egemoni di questo tipo di narrazioni: un gruppo di ragazzi, un Loser’s Club(per dirla con King) che vaga per le strade di una piccola cittadina durante la notte di Halloween, il bullo, i walkie-talkie,… ma anche altri caratteri più classicamente horrorifici come la casa stregata o il libro maledetto. In questo groviglio di topoi di genere, che a un primo sguardo potrebbero suscitare un sentimento di avversione e indurre a bollare il film come poco coraggioso e/o meramente commerciale, si racchiude in realtà uno degli aspetti fondamentali del film:
l’opera s’inserisce all’interno dei meccanismi culturali di massa che imperano nel contesto attuale e ciò è concettualmente coerente con l’operazione messa in atto dal film.

L’operazione metadiscorsiva, perché di questo si tratta, inizia a delinearsi quando scopriamo l’innesco narrativo: Stella, mentre esplora gli spazi dell’oscura e abbandonata villa Bellows, s’imbatte nel libro di scary stories di Sarah Bellows e se ne impossessa. Il libro si rivela essere un Necronomicon di stilemi(iconografici, più che narrativi)che vengono liberati e si riversano nella realtà, come lo spaventapasseri, il mostro sotto il letto o, più in generale, l’orrore della carne e delle deformazioni.
Sarah Bellows, che manifesta i suoi poteri attraverso il libro(scelta simbolica eloquente), assume il ruolo di entità demiurgica che scrive la realtà e che, come scopriremo con lo sviluppo della detection, è scritta dalla stessa. Ciò che viene messo in atto è dunque un discorso d’importanza cruciale sulle storie, che va ben oltre il lato pedagogico: se infatti da un lato vediamo come Stella, attraverso la creazione artistica, riesca a ghermire i propri demoni, ciò che assume tratti rilevanti è la riflessione sull’influenza delle storie sulla realtà(e viceversa).


Siamo soverchiati dai racconti di finzione, siamo in perpetua interazione con essi e per questo hanno una profonda influenza sulla percezione della realtà, così come, reciprocamente, le strutture della narrazione nascono da dinamiche sociali.


In questo senso non è un caso che, tra le entità evocate dal libro di Sarah Bellows, si manifesti il demone della bellezza, ossessione sociale che assume sembianze mostruose nel momento in cui l’ideale si frammenta davanti allo specchio.

La storia come produttrice di senso e costruttrice di realtà, aspetto già implicato a livello narrativo, si manifesta a livello visivo attraverso una soluzione che si ripresenta più volte all’interno del film: l’influenza del testo sulla realtà prende forma con un’alterazione della logica spaziale, con campi di grano e corridoi che diventano labirinti irrisolvibili, un’iperbole visiva del discorso.

Una volta definita l’operazione del film risulta anche più chiara la scelta di cui si parlava in principio: quale scelta migliore di inserire un discorso sulle influenze reciproche tra realtà e finzione all’interno di un tipo di narrazione e di iconografia visceralmente legata all’immaginario collettivo?

Un altro aspetto, sempre iconografico ma di natura diversa, probabilmente frainteso, è composto dalle incursioni audiovisive diegetiche: queste brevi suggestioni, che vanno dalla proiezione di Night of the living dead in un drive-in ai discorsi di Nixon in televisione, non assolvono lo scopo di contorno di un “semplice” discorso politico, bensì fanno sempre riferimento a quell’influenza di un racconto sulla realtà, questa volta esplorando altre soluzioni di fruizione: il cinema, attraverso un’opera che trasuda politica come quella di Romero, e la televisione, attraverso l’icona Nixon che, nell’ottica di quanto detto finora, riversa informazioni(brutalizzazione della mentalità) che inesorabilmente infetteranno la percezione della realtà.