The Hateful Eight, di Quentin Tarantino (2015)

È ormai assodato come Quentin Tarantino manipoli la storia per poi trasformarla in una sorta di corpo umano energico e fervido, attribuendo alla macchina da presa (e più specificamente al rapporto luce/materia) il doveroso compito di ripercorrerla attuando sia una commutazione che una ristrutturazione.
Abbiamo visto Adolf Hitler essere trucidato e bruciato all’interno di un cinema parigino, uno schiavo di nome Django liberare la propria amata eliminando in successione tutti i negrieri che gli si paravano dinnanzi, e vediamo, attraverso quest’ideologia di riscatto, un vettore che ci trascina verso una meta. In questa esegesi cercheremo di comprendere i motivi per i quali Hateful Eight pone il cinema di Quentin Tarantino in una fase di stallo; il film infatti si distacca dal percorso “ucronistico” avviato nel 2009, modificandone dinamiche e struttura, e configurandosi forse come l’opera più importante del suo ultimo periodo.

Come la macchina-cinema può cambiare la storia

The Hateful Eight è il terzo film consecutivo in cui Quentin Tarantino sfrutta il suo corredo citazionistico e auto-citazionistico, insieme a dialoghi pungenti ed aperta violenza, per costruire un’opera a tema storico.

Kill Bill (Tarantino, 2003)
Bastardi senza gloria (Tarantino, 2009)
Django Unchained (Tarantino, 2012)

Bastardi senza gloria capovolge la storia della seconda guerra mondiale per mano di una giovane ebrea e di un nucleo di soldati ebrei americani; Django Unchained è il paradossale romanzo di formazione in cui uno schiavo liberato diventa “la pistola più veloce del sud”.

Questi due film denotano fra loro grandi differenze a livello narratologico e di influenza di genere ma spartiscono con l’antecedente Kill Bill l’impianto tipico dei rape and revenge movies.

Nel suo fondamentale Morfologia della fiaba il linguista russo Vladimir Propp suddivide lo schema della favola in tale modo : equilibrio iniziale, rottura dell’equilibrio, peripezie dell’eroe, ristabilimento dell’equilibrio.

I rape and revenge movie sopra citati si rifanno in maniera determinante a questa struttura, infatti, analizzando più a fondo Kill Bill, Bastardi senza gloria e Django Unchained possiamo riscontrare un primo atto, nel quale avviene un’offesa estrema, un secondo atto nel quale il personaggio sopravvissuto intraprende un tragitto di ripristino, e infine un terzo atto in cui il personaggio ottiene la sua vendetta ed uccide i suoi aguzzini.

Per comprendere il delizioso lavoro meta-narrativo compiuto in Django Unchained basta osservare la scena nella quale il dottor King Schultz racconta a Django la leggendaria storia dell'eroe Sigfrido e della principessa Broomhilda, modificandone però la struttura e facendola combaciare con quella del film, che è difatto una fiaba nella quale l'eroe Django deve salvare la sua principessa.

Tuttavia, laddove Kill Bill rientra nella categoria del rape and revenge classico (la donna come oggetto di abuso e la sua successiva vendetta) le altre due pellicole portano la vendetta ad abbattersi sui consumatori dei mali radicali della storia dell’uomo : l’Olocausto e lo schiavismo della società americana precedente alla guerra civile. La vendetta diviene così simbolica, una sottrazione della vita di coloro che hanno perpetrato questo male ma anche dello stile del carnefice da parte della vittima.

La struttura del revenge movie fissa un altro tipo di coscienza all’impiego della storia nei film di Tarantino, distendendosi nello scavo della letteratura e del cinema ucronistico.

Collasso di una struttura classica -decostruzione e rilettura del Western

In Hateful Eight l’impiego di tale materiale storico elabora una funzione differente, la struttura rape and revenge non è infatti riscontrabile. Qui, l’accadimento storico si accolla la forma di una mimetizzazione del presente nell’impresa stessa del suo mimetizzarsi, del suo nascondersi : e l’attinenza alla contemporaneità si accentua quanto più si duplica l’attività di occultamento a livello di figure, intreccio e relazioni tra i personaggi.

La caratteristica principale del film risiede sopratutto nella ciclica (e volontaria) indecifrabilità che si edifica iniziando dall’intrusione peculiarmente tarantiniana tra la poetica filmica e l’elaborazione concettuale (come il film parla di sè e ciò che dice allo spettatore); e che viene rinvigorito dalla nuova ed inestinguibile divergenza tra l’atto di mascherare le intenzioni dell’opera e il suo vero obiettivo.

Tarantino lavora per depredare metodicamente i segni di orientamento che lo spettatore crede siano stati stabiliti.

L'overture del film 

In The Hateful Eight la neve sostituisce le pianure sterminate e la Monument Valley di John Ford, il movimento si fa impacciato e lento, in netto contrasto con lo spirito di celebrazione della frontiera americana, dal movimento costante per la conquista dell’ovest, della nascita di una nazione tradizionalmente veicolata agli esponenti di genere. L’immagine movimento tipica del western classico viene messa in crisi.

Sentieri Selvaggi (John Ford, 1956) 
The Hateful Eight (Tarantino 2015)

Un paragone adatto può essere piuttosto quello con il film del 1968 Il grande silenzio, di Sergio Corbucci, la cui influenza su Tarantino è chiara fin da Django Unchained. Proprio come l’opera di Corbucci, anche quella di Tarantino sembra porsi sulla scia del western revisionista.

Alcune scene di Hateful Eight sono state girate in maniera quasi identica all'opera di Corbucci. Tuttavia questi evidenti richiami fanno parte di un discorso ben più ampio, il regista "ruba" da un film pre-esistente per comporre un puzzle concettualmente differente.

Andando più a fondo nell’analisi filmica, possiamo notare che più della metà del film si svolge all’interno dell’emporio di Minnie. Tale scelta narrativa ci porta a fare delle considerazioni sullo statuto delle immagini : all’esterno della locanda non vi sono spazi da conquistare o terre da civilizzare, ma una vuota coltre di neve che promette morte certa.

Tarantino si diverte a mettere in crisi lo statuto dell'immagine. Nella scena in cui Warren parla con Bob il messicano, prima notiamo un doppio mezzo primo piano dei due, poi, dopo uno scavalcamento di campo, ci troviamo d'innanzi ad un campo medio in contro luce. La regola fotografica dei 180 gradi viene infranta per portare avanti il discorso di decostruzione del genere senza però disorientare lo spettatore da un punto di vista spaziale, e quindi esaltando anche l'estetica dell'opera.

Il formato scelto per il film è inoltre il 70mm ultrapanavision (utilizzato l’ultima volta nel 1966), e non è certo un caso; grazie all’utilizzo di questa pellicola l’immagine si schiaccia in altezza e si allunga per abbracciare uno spazio più ampio ma costantemente delimitato (sia negli interni, dai muri della locanda, sia negli esterni, dalle montagne). L’immagine, allargandosi, include una maggiore quantità di spazio limitato e, per lo stesso motivo, rallenta il passaggio da una ripresa all’altra : il montaggio e i movimenti di macchina non sono frenetici come in altri film di Tarantino, il campo medio tipico del western classico (e quindi l’immagine movimento) cede il posto ad una composizione che assomiglia al kammerspiel.

Tarantino non sceglie mai di raccogliere tutti i personaggi all'interno di una scena, ma lascia che sia la macchina da presa ad inserirli lentamente, tenendo alta l'attenzione dello spettatore

La messa in congedo del genere – l’inazione come meccanismo cortocircuitante

In The Hateful Eight una tempesta di neve paralizza in un luogo chiuso un manipolo di personaggi, la cui convivenza sembra essere impossibile perché aleggia la certezza che qualcuno non è ciò che sembra. La trama rimanda a La cosa, di John Carpenter (1982).

Il film basava la sua efficacia sul senso di paranoia che si veniva a creare tra i membri del team di esplorazione una volta certi della presenza di una forma di vita aliena in grado di contaminare i corpi umani. Tarantino estrae questo meccanismo narrativo per trapiantarlo in un contesto di richiami spazio-temporali che dovrebbero invocare il vecchio West ed i suoi eroi. In questo modo distrugge totalmente la nascita della sua mitologia.

Il manifesto de "La cosa" di John Carpenter (1982)

È da ricordare inoltre, che i primi eroi della frontiera erano cowboy, banditi o sceriffi, caratteri consapevoli delle proprie funzioni (vendetta, giustizia, conquista) .

Broncho Billy e William Hart, i primi due eroi della mitologia western

Nel caso di Hateful Eight questa prassi scompare, poiché i personaggi del film devono semplicemente aspettare che la bufera esterna passi, senza fare nulla, poiché agire potrebbe significare incappare in conseguenze assai problematiche (si noti la composizione della scala sociale dei caratteri, che manda in cortocircuito la questione classica della giustizia e del reclamo di vendetta). Il ruolo dell’azione viene quindi ricoperto dal discorso, che si manifesta sempre sotto forma di menzogna imposta come verità.

“Qui tra noi c’è qualcuno che non è quello che sembra” – John Ruth

Il fattore che mette in moto la morte di Samford Smithers viene costruito proprio a partire dall'utilizzo della parola. Warren sfrutta la menzogna imposta come verità (il fatto di aver ucciso il figlio del generale) per spingere il suo "rivale" a compiere un gesto azzardato e poterlo quindi "giustificatamente" uccidere

In Hateful Height, l’atto di cancellare l’epopea western (come iniziato in Django) subisce una spiritualizzazione, e la parola diviene retroscena dell’arma, metafora di una crescente camminata funerea che all’interno di quel non luogo (ripreso da le Iene) si appresta a divenire carneficina, ed aggirando l’unità del racconto retrocede (brevemente) all’indietro per poi ritornare al suo posto.
Tarantino elabora (inizialmente) la pellicola donandogli un esasperato carattere comico, per poi creare (successivamente) un kammerspiel all’Interno del quale deflagra la mattanza, egli si fa cinico arrangiatore di un insieme strutturato di movimenti ritmici e corpi legati tra di loro da un’atmosfera acherontea (grazie sopratutto all’encomiabile lavoro fatto sul montaggio interno e sui cambi di focale).
Tutto si riduce quindi ad un ammasso di travi decadenti, ad una porta rotta, ad un camino scarno, ai pulviscoli di neve insinuatisi dalle fessure del fatiscente emporio, tutto si riduce all’uomo, aggressivo, debole, razzista, impietoso, maligno.

(Gabriele Plutino)