Il sindaco del Rione Sanità – In concorso
Regia: | Mario Martone |
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Durata: | 118’ |
Lingua: | dialetto napoletano, italiano |
Paesi: | Italia |
Sceneggiatura: | Mario Martone, Ippolita di Majo |
Fotografia: | Ferran Paredes Rubio |
Montaggio: | Jacopo Quadri |
Dopo appena un anno da “Capri Revolution”, Martone continua ad operare su un territorio partenopeo, con una trasposizione dall’omonima piece teatrale di Eduardo De Filippo in chiave contemporanea.
Diviso in tre blocchi, parte con un incipit intriso di immaginario letterario (Saviano) e audiovisivo (Gomorra: serie tv).
Antonio Barracano, ipotetico sindaco del Rione Sanitá di Napoli, ascolta, per i primi 60 minuti, le confessioni di una cittadina problematica. Sono discorsi poco morali, legati non necessariamente a idee malavitose e spesso connessi a pesanti diatribe familiari. Francesco Di Leva, prende le redini di un personaggio e di una recitazione in continua evoluzione, contemporaneamente ai tre blocchi che costituiscono l’opera.
Carismatico, imponente e con il totale rispetto della sua popolazione, Barracano è un uomo intenzionato a ridiscutere le regole generali del territorio napoletano.
L’ambientazione che domina le sequenze iniziali è una villa, microcosmo che si trasforma in un macrocosmo culturale dall’impostazione teatrale, vicino a Cassavetes, come dichiarato da Martone in conferenza.
In tal senso, ci accorgiamo di un grande scarto. Se da una parte gli uomini attorno al sindaco sono imbevuti da un immaginario audiovisivo italiano malavitoso, dall’altra Barracano parla e fa teoria sul come comportarsi in situazioni simili senza andare nel pratico a differenza dei suoi “discepoli”.
Solo con l’avanzare del minutaggio il film acquisisce quella carica di violenza tipica di quell’immaginario, operazione spinta dall’impossibilitá di trovare un compromesso tra un padre e un figlio. É proprio in questa storyline in cui ravvisiamo referenze usuali al dramma familiare coppoliano. Una linea narrativa che presenta i connotati di una tragedia non annunciata
Durante il finale, dopo che lo spazio filmico ristretto ritorna alla natura dei primissimi minuti, rimane solo un campo medio immobile, riprendendo l’iconografia pittorica dell’ultima cena.
Il primo dei tre film italiani in concorso a Venezia76 è un connubio esemplare di due linee di pensiero: l’autorialità di Martone e l’universo costruito dalla serialità e la cinematografia italiana dell’ultimo decennio. Un grande film.
(Paolo Birreci)